Nel lungo panorama gestito dai professionisti delle innovazioni didattiche, sempre presentate come risolutive dei problemi scolastici, arrivano oggi le competenze
25 Aprile 2012 | di Gianluigi Dotti
Insegno da 25 anni Letteratura italiana e Storia negli Istituti tecnici e in questo quarto di secolo ho vissuto diverse ''innovazioni didattiche'', di volta in volta presentate da ''specialisti delle metodologie'' che, dopo aver criticato i ''vecchi'' metodi utilizzati dagli insegnanti, indicavano le innovazioni come gli strumenti metodologici che avrebbero consentito di recuperare le difficoltà degli studenti nell'apprendimento delle diverse discipline. Ricordo la ''rivoluzionaria innovazione'' dell'unità didattica, la ''scoperta'' della ''programmazione per obiettivi'' (programmi e contenuti erano del tutto obsoleti). E poi vennero i ''moduli'', la ''personalizzazione del curricolo'' e il ''portfolio''.
In questi ultimi tempi c'è un'altra novità che i ''professionisti dell'innovazione'' stanno promuovendo: le competenze, anzi la ''programmazione per competenze'' con relativa ''certificazione'' sulla base degli ''assi culturali''. Come riferisce il mensile Tuttoscuola del 2 aprile 2012: ''il direttore generale per gli ordinamenti scolastici, Carmela Palumbo, ha annunciato l'arrivo, ormai imminente, del modello nazionale per la certificazione delle competenze''.[1]
Mi sono documentato sulle competenze ed ho trovato un ampio dibattito pro e contro, segnalo i materiali di Michele Pellerey,[2]che chiarisce il concetto di competenza,e quelli di Giorgio Israel [3], che ne fa un'argomentata critica.
Secondo Pellerey le ''competenze indicano la comprovata capacità di usare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e/o personale; le competenze sono descritte in termini di responsabilità e autonomia''. Pertanto, come dice l'Ocse-Pisa,''la nozione di competenza include componenti cognitive ma anche componenti motivazionali, etiche, sociali e relative ai comportamenti. Costituisce l'integrazione di tratti stabili, risultati di apprendimento (conoscenze e abilità), sistemi di valori e credenze, abitudini e altre caratteristiche psicologiche''.
L'autore sostiene che''per sviluppare una competenza occorre in primo luogo promuovere l'acquisizione delle conoscenze e delle abilità relative in modo che esse siano disponibili in maniera significativa, stabile e fruibile (quando, come e perchè valorizzarle)''.Infatti ''è pericoloso sottovalutare il ruolo delle conoscenze o dei saperi fondamentali:a) nel promuovere la coltivazione della persona in molte sue qualità interiori limitandosi ad aspetti funzionali;b) nella soluzione di problemi (senza una base ben organizzata di conoscenze non basta un insieme di abilità procedurali)''.
Giorgio Israel si è fatto paladino di una battaglia culturale affermando che: ''Secondo certi «teorici» il mondo finora è stato popolato di idioti e la capacità di formare gente colta e capace è nata con loro. Tutto il sapere che ci è stato consegnato è deficiente perchè costruito da gente che non sapeva cosa sono le «competenze»''.
Israel argomenta la sua posizione sostenendo che: ''il fatale trittico non è solo inutile, ma conduce a risultati disastrosi perchè codifica una separazione [...] È una distinzione che svilisce l'idea di conoscenza che è sempre stata pensata come inclusiva dei tre aspetti (giustamente mai distinti) e da valutare complessivamente. Distinguendo si introduce l'idea assurda che l'acquisizione assolutamente passiva di concetti sia una forma di conoscenza. [...] Non potrebbe darsi un esempio più clamoroso della definizione di Hannah Arendt di certe teorie pedagogiche: «un incredibile guazzabuglio di idee sensate e di assurdità»[...]Il guaio è che questa insensata logomachia contiene un'idea ancor più insensata e cioè che, mentre le conoscenze non si possono misurare, le competenze sarebbero misurabili, il che consentirebbe di introdurre la «certificazione delle competenze» a scuola. In verità, gli «esperti» ammettono candidamente: 1) che esistono innumerevoli definizioni di competenze, 2) che misurare le competenze è praticamente impossibile.[4]
Israel, infine, asserisce che:''Le teorie pedagogiche sulle competenze/abilità/conoscenze non hanno nulla di «scientifico»''e avverte ''stiamo attenti agli anatemi contro i docenti che sarebbero non scientifici soltanto perchè si rifiutano di aderire a prescrizioni prive di qualsiasi valore non dico scientifico, ma di serietà. Spesso sono i più seri e preparati''.
Se lo stato dell'arte è quello descritto da Israel, in che modo la ''programmazione per competenze'' potrebbe incidere nella pratica scolastica? Oreste Scremin, dell'USP di Padova, scrive: ''Nel momento in cui anche il biennio della scuola superiore entra a far parte dell'istruzione obbligatoria non è più possibile pretendere che l'allievo si adegui al curricolo, come unica modalità per elevare il proprio livello di istruzione, pena l'incremento del fenomeno della dispersione scolastica (portando l'Italia fuori dagli obiettivi europei fissati nel trattato di Lisbona), ma è necessario puntare su un curricolo più flessibile, capace di rispondere alle esigenze di crescita culturale dell'allievo, sfumando sulla sua caratterizzazione preprofessionalizzante. E per fare ciò occorre spostare l'attenzione del docente dalla disciplina, di cui è titolare, alla sua valenza formativa più generale, finalizzando strumentalmente la disciplina allo sviluppo di competenze di carattere appunto più generalista. In un approccio per competenze, aggregate per assi culturali, è la competenza, e non il curricolo, ad orientare il percorso formativo e il concetto di asse culturale meglio esprime il modo con cui può essere riorganizzato e offerto il sapere per perseguire tale risultato.''[5]
Con queste premesse, il rischio è che la ''scuola delle competenze'' prepari lo scenario ipotizzato da Norberto Bottani che prevede una scuola a doppia velocità: ''Una in cui si formerà un'èlite che riceverà un'istruzione di eccellenza, che disporrà di insegnanti eccellenti[...] A questa si affiancherà la scuola di massa, con una funzione sempre più di socializzazione, che si limiterà ad impartire un'istruzione di base generale generica, un'infarinatura culturale, alcune norme di comportamento. Una scuola orientata più all'occupabilità che allo sviluppo di personalità autonome e di una formazione culturale solida e approfondita. Una scuola assolutamente non esigente, magari anche attenta alla componente emozionale, ma mai rigorosa nei confronti degli obiettivi culturali [...]C'è chi parla di ''scuola-supermercato'', credo che questa immagine renda abbastanza l'idea della scuola di massa consumistica che va profilandosi.[6]
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[1]Tuttoscuola.com: ''La certificazione è un atto dovuto: era prevista addirittura nel lontano Regolamento dell'autonomia scolastica (DPR 275/1999), è stata ribadita dalle leggi n. 53/2003 e 169/2008, ed è stata richiamata infine dal Regolamento per il coordinamento delle norme in materia di valutazione (DPR 122/2009).''
[2]Michele Pellerey, Valutazione degli apprendimenti e certificazione delle competenze.I materiali citati sono stati presentati dall'autore,professore ordinario emerito di didattica dell'Università Pontificia Salesiana, al Seminario regionale sulla Certificazione delle competenze nell'obbligo di istruzione, organizzato dal MIUR e dall'USR Emilia Romagna a Bologna il 23 novembre 2010.
[3]I materiali citati di Giorgio Israel sono tratti dai numerosi articoli che si trovano sul suo blog: www.gisrael.blogspot.it
[4]Giorgio Israel www.gisrael.blogspot.it''Alla fine degli anni novanta si riunì una commissione mondiale per stabilire una definizione di competenza: ne vennero proposte a centinaia e non si venne a capo di nulla.''
[5]Oreste Scremin, Obbligo d'istruzione: discipline e assi culturali. http://www.itc-ipsc-marchesini.it/documenti/assi_culturali.pdf
[6]Norberto Bottani, Da Dante al problem solving. Come cambia il ruolo dell'insegnante, http://ospitiweb.indire.it/adi/InterBot/InterBottani.htm
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