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Numero 5 - Maggio 2012
Numero 5 Maggio 2012

Copiare a scuola ? Legittimo e naturale

La debolezza etica della scuola genera livelli di apprendimento modesti. Intervista con Marcello Dei*


25 Aprile 2012 | di Renza Bertuzzi

Copiare a scuola ? Legittimo e naturale 1) Professor Dei, che cosa è cambiato oggi da aver trasformato un'abitudine antica, ma riprovevole, come il copiare a scuola, in un comportamento diffuso e tollerato?

L'abitudine antica discende in parte dal retaggio storico di cui già scrisse Giacomo Leopardi nel primo '800 nel Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl' italiani, in cui egli osservava la debolezza della società civile del nostro Paese, le furberie, gli imbrogli, il cinismo delle classi dirigenti e del popolino. Copiare a scuola ha acquistato le dimensioni e il significato che ha oggi con l'avvento della scolarità di massa. Parallelamente all'affermarsi della società burocratica e del consumo di massa, si è sviluppata una concezione della società imperniata sull'individualismo, sull'economia e sul mercato che promuove il ruolo di consumatore e di cliente a scapito di quello di cittadino. Accade lo stesso in tutti i paesi industrializzati, solo che in Italia tale cultura si coniuga con la nostra storica scarsezza di senso civico. Non è possibile, ovviamente, avere dati statistici e confrontare quanto si copia oggi e quanto si copiava in un passato più o meno lontano. Ci sono tuttavia dei dati che, oltre a mostrare che oggi si copia abbondantemente, mettono in luce un'altra realtà forse più importante, per gran parte degli adolescenti copiare è considerato legittimo. E' lo stesso che correre per le lepri e volare per gli uccelli, un comportamento naturale.
Intanto la situazione di crisi che attanaglia il paese grava particolarmente sui giovani. Il buio del futuro che li attende stimola atteggiamenti di sfiducia e risposte di cinismo, ma accende anche sensibilità nuove di ripulsa dell'immoralità pubblica e privata, di disgusto per la rete di corruzione e per la coazione generalizzata a ripetere le vie dell'evasione fiscale. Se i giovani tifano per gli interventi della Guardia di Finanza e gli insegnanti si schierano con loro, la questione morale potrebbe entrare nelle aule scolastiche.

2) Parliamo di ethos condiviso. Lei suggerisce cautela nell'avanzare analogie tra alunno che imbroglia e cittadino che evade le tasse, utilizza le raccomandazioni ecc. Eppure è sotto gli occhi di tutti che il tessuto etico, fatto di costumi condivisi, è oggi molto sfilacciato. Tra i due aspetti non vi è legame?

In primo luogo non esistono (e non sembra possibile ottenerne) dati che provino l'esistenza di uno stretto nesso causale tra il copiare a scuola e commettere delitti che violano il senso civico. Sostengo semplicemente che non è corretto immaginare che esista un legame di necessità per cui ogni copiatore o copiatrice è già un imbroglione a tutto tondo o lo diventerà nel seguito della sua vita. Anche il copiatore incallito può ravvedersi e cominciare a comportarsi onestamente. Quello che i dati mostrano è una forte correlazione diretta che lega la pratica di copiare con gli atteggiamenti che esprimono apprezzamento o che giustificano la furbizia, l'egoismo sfrenato e le raccomandazioni e che mostrano simpatia o tolleranza nei confronti dell'evasione, della corruzione e del malaffare. Forse gli studenti predicano male, ma razzoleranno bene. Speriamo che tra il dire e il fare forse ci sia di mezzo il mare...
La socializzazione al non rispetto delle regole che prende forma nella cultura del copiare non si limita a incoraggiare la diffusione di comportamenti devianti nel settore della convivenza civile come l'evasione fiscale e la corruzione. In una misura che al momento non è facile definire, essa è responsabile dell'indebolimento dell'autorità della scuola da cui dipende l'efficacia didattica dell'insegnamento. Per dirla in poche parole, la debolezza etica della scuola genera livelli di apprendimento modesti. Sono frequenti sui media gli interventi che rilevano il pullulare di strafalcioni nella scrittura degli studenti, ma non mancano le preoccupazioni per lo scarso appeal della matematica tra gli alunni dei diversi gradi dell'istruzione. Osservate dal punto di vista del confronto internazionale, le competenze e i livelli di apprendimento degli studenti italiani non sono affatto brillanti.

3) Tra i motivi che nel suo libro lei indica come causa dell'aumento esponenziale del copiare , vorremmo che si soffermasse su uno in particolare: la trasformazione della scuola da istituzione pubblica in servizio a soddisfazione individuale.

Nel nostro Paese l'istruzione privata riveste una parte di second'ordine; inoltre la sua ragion d'essere è radicata in delle motivazioni culturali e religiose più che guidata da ragionamenti puramente mercantili. Tuttavia sullo scenario dell'istruzione è pur sempre ben presente l'ideologia privatistica, vestita dei panni dell'efficienza, della competizione, del consumo, dell'edonismo. E' il versante culturale dell'economia della globalizzazione cui qualche titolare della Minerva ammiccava. Ed è per questo aspetto che gli studenti - insieme ai loro genitori - si sentono clienti e aspettano dall'istituzione pubblica una prestazione accettabile. La formazione del cittadino non è espressamente richiesta. Quando abbiamo chiesto: copiare a chi/cosa nuoce, chi/che cosa lede, hanno risposto ''Il bene comune, l'interesse della comunità'' il 12%degli studenti e il 26% degli insegnanti.

4) I docenti non escono bene dalla sua ricerca. Nella migliore delle ipotesi (e non tutti naturalmente) sono conniventi. Perchè, secondo lei, succede questo?

Il paradigma pedagogico della scuola ha progressivamente cancellato le sanzioni che un tempo erano previste per i comportamenti scorretti. L'atto formale risale al 2000, allo Statuto delle studentesse e degli studenti, ma nella sostanza il mutamento era già compiuto da vari anni. La comprensione, l'introspezione, la benevolenza e l'intelligenza dei sentimenti hanno sostituito le punizioni. Nel credo degli insegnanti la punizione appartiene a un passato fatto di gerarchia e di autoritarismo insopportabili, ormai felicemente consegnato alla storia. La retorica vuole che l'autorevolezza conquistata nella classe occupi il posto che fu dell'autoritarismo, ma non sempre ciò accade. Spesso la tenuta della disciplina (concetto desueto, soppiantato da quello di ''gestione della classe'') è problematica, la ''mediazione sociale'' dell'insegnante non funziona e il cooperative learning si inceppa. Di fronte agli studenti che copiano la tensione interiore dell'insegnante fra il rispetto delle regole e l'ammorbidimento e la minimizzazione dell'episodio si risolve spesso a favore di questi ultimi. Il rifiuto delle punizioni è talmente forte che nel caso infrequente in cui sanziona l'imbroglio, il docente colpisce silenziosamente, senza far prediche. Uno stereotipo assegna al fatidico e libertario '68 la responsabilità del cambiamento che investì en bloc i processi di socializzazione e i suoi agenti. Insegnanti e i genitori, accomunati dalla perdita di potere di fronte ai giovani, si trovano schierati su due sponde - fornitori di un servizio gli uni, clienti gli altri - muniti entrambi degli attributi e delle prerogative dei rispettivi ruoli.
Quale che sia stata la responsabilità del '68, è un dato di fatto che il nuovo modello educativo somiglia come una goccia d'acqua alla concezione che legittima l'istruzione secondo i parametri del mercato.

5) Lei crede che una ripresa - da parte della categoria prima di tutto e poi sul piano sociale e politico - del mandato sociale che la Costituzione assegna alla funzione docente (di trasmettere cultura ed educare i giovani al pensiero critico) possa essere utile?

Da dove può partire la ripresa? Quali potrebbero essere i motivi di rinnovamento nella scuola e nella società? A prima vista il panorama è desolante: gli insegnanti sono disillusi e delusi per come è la scuola oggi, gli studenti debosciati e demotivati per ciò che li attende domani sul mercato del lavoro. Sul piano sociale la crisi finanziaria ed economica, lo sfaldamento dei partiti e il discredito della classe politica alimentano lo sconcerto, la rabbia, il risentimento e tanta sfiducia nelle istituzioni e negli altri. La società burocratica del consumo di massa, edonista, gioiosamente individualista mostra la corda, non funziona. Non mancano segni di cambiamento. La lotta all'evasione, alla corruzione e al malaffare avviata dal governo possiede, al di là della sua efficacia sul piano materiale, un valore simbolico che ne fa un'operazione di vigorosa pedagogia civile. E' probabile che i cittadini che ''non ne possono più'' del divario tra redditi dichiarati e auto e barche di lusso possedute comincino a rendersi conto che il cinismo, il furbismo e le parentele sono la materia prima di cui sono fatti quegli illegittimi privilegi che oggi li disgustano. Una parte delle persone che negano fiducia ai partiti, la ritrovano nei movimenti sociali, come quelli referendari per l'abrogazione del porcellum, o contro la privatizzazione dell'acqua. O quando partecipano alle primarie e votano per candidati non indicati dal partito. Questi cittadini fondano le loro critiche e le loro richieste facendo appello alla Costituzione e ai suoi valori di convivenza civile. Se gli insegnanti sapranno cogliere i fermenti delle nuove forme di partecipazione politica e culturale, se sapranno valorizzarli nel loro lavoro quotidiano, il mandato sociale che la Costituzione assegna alla funzione docente ne uscirà rafforzato.


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Marcello Dei è professore di Sociologia dell'educazione presso la Facoltà di Sociologia dell'Università di Urbino fino dalla sua istituzione e oggi fa parte del Dipartimento di Economia Società Politica (DESP).
Agli inizi, negli anni '70-80, ha realizzato diverse indagini sugli insegnanti italiani dei vari gradi dell'istruzione. Negli anni successivi si è dedicato alla ricerca teorica relativa ai rapporti tra strutture economiche e politiche e istituzioni educative nei paesi a capitalismo maturo. Nell'ambito di tale attività ha organizzato un convegno internazionale di sociologia dell'educazione a cui hanno partecipato autorevoli sociologi (R. Collins, S. Bowles, B. Bernstein, C. Passeron, A.Heath).
Da alcuni anni si dedica alla ricerca empirica sui processi formativi nella scuola italiana con particolare attenzione alla socializzazione politica, alla cultura economica, all'analisi dei comportamenti devianti degli alunni che frequentano la scuola secondaria di I e II grado.
L'immobilità sociale. Stratificazione sociale e sistemi scolastici (a cura di), con S. Cappello e M. Rossi, Bologna, Il Mulino, 1982
- Colletto bianco, grembiule nero. Gli insegnanti elementari italiani tra l'inizio del secolo e il secondo dopoguerra, Bologna, Il Mulino, 1995
- Sulle tracce della società civile. Identità territoriale, etica civica e comportamento associativo degli studenti della secondaria superiore, Milano, Angeli, 2001
- Economia e società nella cultura dei giovani. Rappresentazioni e credenze degli studenti medi, Milano, Angeli, 2006
- Ragazzi si copia. A lezione di imbrogli nella scuola italiana, Bologna, Il Mulino, 2011
- Rispettare le regole. La socializzazione normativa nelle famiglie e nella scuola (a cura di), L'aquilone, Donzelli, 2012 (con G. Maggioni)
- La scuola in Italia (IV edizione aggiornata), Bologna, Il Mulino, 2012


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