Gli avvenimenti nella scuola italiana degli ultimi mesi, con l’imposizione della cosiddetta legge “buona scuola”, hanno generato una rivolta ed una presa di coscienza che non trova precedenti in tutta la storia della scuola italiana
25 Agosto 2015 | di Rino Di Meglio
Sono passati quasi 170 anni dagli avvenimenti del 1848, ma talmente forti furono gli avvenimenti di quell’anno che sconvolsero l’intera Europa, da Corfù ad Amsterdam, da Palermo a Vienna, senza escludere nessuna zona d’Europa, che il detto è rimasto nella memoria popolare fino ai giorni nostri.
La restaurazione dell’ordine costituita fu effimera, negli anni successivi i semi delle rivolte democratiche germogliarono e portarono la gran parte degli stati europei a dotarsi di costituzioni, eleggere parlamenti, istituire forme democratiche di rispetto dei diritti dei lavoratori.
Fatte le debite proporzioni, gli avvenimenti nella scuola italiana degli ultimi mesi, con l’imposizione della cosiddetta legge “buona scuola”, hanno generato una rivolta ed una presa di coscienza che non trova precedenti in tutta la storia della scuola italiana.
La Gilda degli insegnanti può, con orgoglio legittimo, rivendicare di essere stata la prima, già durante l’estate del 2014, ad iniziare la protesta contro il disegno autocratico del governo, iniziandone la critica pubblica nel convegno del 5 ottobre (giornata mondiale dell’insegnante) e scendendo in piazza a Firenze (città del premier) il successivo 24 novembre. Successivamente ci siamo spesi, con ogni forza, per creare un fronte più unitario possibile tra i sindacati rappresentativi.
Lo sciopero del 5 maggio, con una partecipazione plebiscitaria degli insegnanti è stato solo l’episodio culminante di una protesta che si è sviluppata per mesi, che ha visto innumerevoli e continue manifestazioni spontanee, per non parlare delle iniziative sui social media. Si è creata un’unità sindacale che non trova precedenti, ma il fronte si è allargato a qualsiasi forza, comitato, associazione rappresentativa di gruppi grandi e piccoli di insegnanti.
Non si è trattato di una battaglia sindacale per difendere un contratto, o per migliorare la scarsa retribuzione: un’intera categoria ha levato un muro morale per difendere la propria dignità e la propria libertà da un provvedimento che calpesta e stravolge la funzione docente ed i valori della Costituzione.
La prepotenza del partito di governo, non dimentichiamolo, è stata già ricambiata con un primo segnale inequivocabile da parte degli elettori nelle recenti elezioni amministrative che hanno visto una non piccola perdita elettorale del partito guidato dal presidente-segretario.
L’apparente “restaurazione”, culminata con il voto di fiducia nel Parlamento, ha generato una legge, mostruosa anche nella forma, che avrà sicuramente le gambe corte. Alla riapertura dell’anno scolastico, la battaglia riprenderà sia nelle scuole, sia sul piano legale, mediante l’impugnazione i tutti gli atti che deriveranno dall’attuazione della legge al fine di giungere ad una serie di pronunce, compresa la Corte costituzionale che portino allo smantellamento della legge, sia su quello sindacale, fornendo ai colleghi nelle scuole gli strumenti per vanificarne, per quanto possibile, gli effetti.
Non va trascurata la battaglia politica: vi è infatti una parte della società civile che reagisce ancora. Ad esempio le Regioni, alcune si stanno già muovendo, ed esse dispongono della possibilità di un percorso accelerato per adire la Corte Suprema.
Infine da subito andrà percorsa la strada di un referendum abrogativo, non improvvisato, che veda coinvolte il maggior numero di organizzazioni e movimenti possibile e che possa andare a cassare le parti più inique della norma.
Guidare, con l’elaborazione di proposte valide e responsabili, il grande movimento che si è creato, incanalarlo su strade ragionevoli e percorribili costituisce una grande responsabilità ed una grande sfida per tutti noi, ci metteremo sicuramente le nostre forze per preservare alle future generazioni quei valori costituzionali nei quali crediamo profondamente.
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Nota a margine
(con alcune domande)
Il 13 luglio, dopo la sottoscrizione del Presidente della Repubblica, è stata pubblicata in Gazzetta ufficiale la legge 107/2015 di “riforma del sistema nazionale di istruzione”.
Il nostro rispetto per le Istituzioni della Repubblica non ci ha fatto elevare la voce contro l’atto di sottoscrizione del Presidente Mattarella.
Sorvoliamo sulle modalità che questo Governo ed il partito che lo guida hanno utilizzato per forzare il Parlamento a digerire quello che è stato un esercizio di forza muscolare, incurante del parere di chi nella Scuola lavora e sprezzante nei confronti dei rappresentanti dei lavoratori.
Desideriamo invece spendere alcune parole sull’evidente contrasto con la Costituzionedi questa legge: iniziamo con la forma, in questo caso anche sostanza, l’articolo 72 della Costituzione prescrive che il Parlamento debba votare le leggi articolo per articolo. La legge 107 è composta da un unico articolo, suddiviso in 212 commi, che occupano 29 pagine della Gazzetta ufficiale. Non si è aggirata brutalmente ed in modo patente la Costituzione per costringere il Parlamento ad approvare con un unico voto di fiducia, evitando la discussione nel merito, uno scatolone onnicomprensivo ed obbrobrioso?
Ancora un paio di esempi molto chiari:
- La Costituzione impone alla pubblica amministrazione il principio dell’imparzialità: come si concilia questo principio con il postere attribuito al Dirigente scolastico di scegliere i docenti che ritiene più adatti per l’Istituto?
- La Costituzione impone il principio di uguaglianza tra coloro che svolgono lo stesso lavoro, come lo conciliamo con la divisione dei docenti tra titolari di cattedra nella scuola e titolari di un “ambito territoriale”?
- Come si può vietare per legge ai docenti di ruolo di partecipare ai futuri concorsi pubblici? Difficile dire se questa norma sia anticostituzionale o piuttosto irragionevolmente stupida.
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