Ancora una volta Giulio Ferroni, in un testo pregevole smonta l’ apparato della modernità di una scuola ormai subalterna ai modelli dell’ economia
25 Agosto 2015 | di Renza Bertuzzi
Sono passati quasi vent’ anni da “ La scuola sospesa”, il testo di Giulio Ferroni, che, insieme con “ Segmenti e bastoncini” di Lucio Russo, rappresentò una boccata d’ aria, una luce che fendeva il perverso cammino verso cui politiche ( ahinoi di centro-sinistra ! ) avevano indirizzato la scuola. Furono testi molto letti e molto apprezzati dai docenti e da tanta società civile che si occupava- allora in maniera argomentata e partecipata- di quella pericolosa inversione di tendenza verso una scuola facile e allegrona in cui intrattenere , e non educare al pensiero critico, le nuove generazioni.
Da vent’ anni a questa parte le Cassandre, che vedevano nel presente, non furono ascoltate. La scuola è precipitata come una valanga, ed è diventata un altro da sé (da ciò che la Costituzione ha deliberato che sia); un oggetto mercantile , non solo inutile ma forse anche dannoso. La Buona Scuola.
Da vent’ anni a questa parte è subentrata in tanti docenti una sorta di grande amarezza ( interrotta, per fortuna, dalle vitali reazioni dei moltissimi insegnanti alla sedicente Buona Scuola, approvata, con voto di fiducia nel luglio di quest’ anno) e in molti intellettuali l’ abbandono della riflessione critica sul tema.
Non così, Giulio Ferroni, che , con inesausta volontà e con un rigore capillare ed esaustivo, riprende a mano il tema e lo seziona e lo analizza con la precisione di un anatomo- patologo e con lo scrupolo dello storico della Letteratura che nessun particolare tralascia per raffigurare criticamente l’ oggetto della ricerca. ( Non a caso, il testo di Giulio Ferroni, La scuola impossibile, Salerno Editrice è pubblicato nella collana Aculei).
E’ impossibile – egli ci dice- una scuola “senza vitalità culturale, senza passione, senza bellezza e armonia”,( pag. 107) la scuola sotto i nostri occhi.
Ma qual è stato il cammino che ci ha portato fin qui? Ferroni lo percorre tutto, partendo dall’ oggi e dai suoi aspetti più vistosi e bizzarri , come la ricorrenza delle occupazioni delle scuole da parte degli studenti; l’ abitudine alle gite scolastiche, vuote e insulse abitudini; o le visioni di film di contenuto culturale, senza preventiva preparazione di analisi e di studio( come è accaduto con il film di Martone su Leopardi, a cui hanno assistito, organizzati dalla scuola, torme di studenti per i quali Leopardi non era ancora materia di studio. ) . Poi, a ritroso, ricalca la storia iniziata con le riforme di Berlinguer, quindi l’ ideologia berlusconiana delle tre I e infine quella renziana della Buona scuola.
Di questa scuola impossibile, l’ autore disamina in modo particolare quei temi che si potrebbe dire vanno per la maggiore : il predominio delle competenze sulle discipline; il trionfo della rete; l’ esaltazione della scuola @2.0. e l’ enfasi di una pedagogia che invita ad andare incontro all’ orizzonte mentale degli studenti.
Così ci conferma e ci conforta : “ resta comunque il fatto che in ogni processo educativo è essenziale il rapporto con dei contenuti, con la loro alterità e resistenza : e che i contenuti scaturiscono dal corpo delle discipline che si è andato faticosamente costruendo ed elaborando nel corso dei secoli” ( pag.55);
“ non è pensabile scansare totalmente quel rilievo dell’ impegno del controllo di sé, dell’ adattamento alla realtà su cui così insisteva Antonio Gramsci” , (pag. 54); “non si può offrire ai giovani l’ illusione che le risultanze del sapere e dell’ esperienza siano raggiungibili e mutuabili facilmente solo perché si possono trovare lì nella rete, acquisire e combinare con qualche clic... ( pag.55).
E sulla ambiguità pericolosa della rete, Ferroni si sofferma analiticamente , sottolineando come il pensiero “ rapido ed efficiente, ma per forza di cose schematico e non problematico, finisce per seguire il modello imperante della pubblicità; la politica e la comunicazione ufficiale evitano sempre più la problematicità, la riflessione critica, la proiezione sul lungo periodo ma tendono all’ effetto immediato...” ( pag. 67). Senza tralasciare gli effetti sulla mente ( che la ricerca neurologica ha identificato) né i meccanismi economici che dominano il complesso della rete. C’è, nel certosino smontare con precisione e dimostrazione l’apparato della modernità di un altro secol superbo e sciocco, una sorta di etica dell’inattualità, il dovere morale di non tacere né tralasciare, nel discorso pubblico, nulla, anche se molto sembra ormai perduto.
Così, Ferroni, terminata la pars destruens, si dedica la quella costruens, ricchissima di stimoli , di proposte nel tracciare la scuola di cui abbiamo bisogno. Una scuola che richiede “ forme di coscienza e di resistenza, capacità critiche e problematiche che non possono essere garantite da una scuola alleggerita, pensata come un ambiente di piacevoli intrecci multimediali, trasformata in una succursale dei vari social network, nutrita di competenze tutte proiettate sul presente degli schermi tecnologici. Sganciata dalla memoria e dalla continuità della storia. C’ è bisogno di una scuola “forte” [...]” ( pag. 78).
Tra le tante indicazioni, scegliamo di sottolineare per il suo valore civile e democratico, l’ esortazione a ritrovare la ricchezza della lingua, la proprietà lessicale, la misura logica dei suoi procedimenti, il suo valore di scambio civile [...] e a ripristinare la forma dell’ argomentazione, base della democrazia. ( Pag. 81) Il discorso che non twitta, che non toglie la parola, che non aggredisce, che non esprime verità, ma opinioni.
Il discorso che sa ascoltare e produrre i motivi a favore e contro un argomento e sa dimostrare con la ragione non con le viscere il proprio pensiero. L’ argomentazione sostituita ormai, nel discorso politico e pubblicitario, dall’ invettiva che assale e non dà spazio agli interlocutori e che, dunque, genera violenza.
Giunti al termine di queste prezioso testo sulla scuola, si apre l’ usato dubbio del che fare? Ferroni conclude con un inquietante apologo sulla figura di S. Cassiano, maestro di grammatica, martirizzato ad Imola, all’ inizio del IV secolo. Odiato dagli allievi per la sua severità, fu condannato dal pretore ad essere ucciso da loro stessi che rabbiosamente lo colpirono con le loro tavolette ( tablet...) di scrittura.
E’ questo il destino della scuola? L’ autore lascia il discorso aperto, suggerendo, a lenimento, anche una frase di Goethe “ Da qui comincia la novella storia”. Allora, interpretiamo noi con grande libertà, non c’ è scampo: per non diventare tanti S. Cassiano non ci resta, come insegnanti, che diventare protagonisti e attori di una novella storia della scuola. E forse in questo ultimo anno i docenti hanno dimostrato che un’ altra storia è ancora possibile.
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