Un meccanismo burocratico, che tende a proiettare nel mondo della scuola tutti i luoghi comuni che dominano la cultura dei media e i modelli del neoliberismo televisivo e informatico
25 Agosto 2015 | di Renza Bertuzzi
Professore, la sua scuola impossibile (“senza vitalità culturale, senza passione, senza bellezza e armonia”) assomiglia molto a quella “Buona Scuola” divenuta Legge 107/2015. E’ così?
Purtroppo la cosiddetta “Buona Scuola” si presenta come un meccanismo burocratico, che tende a proiettare nel mondo della scuola tutti i luoghi comuni che dominano la cultura dei media, i modelli del neoliberismo televisivo e informatico, i famosi tre i di Berlusconi, prima sbeffeggiati e poi assunti in proprio da un centrosinistra che non è più tale. In questa situazione il modello di scuola che oggi sarebbe veramente necessario è diventato davvero “impossibile”.
Tra una scuola sospesa (e quindi ancora potenzialmente in bilico) del 1997 e una scuola impossibile del 2015 che cosa è successo?
Nel 1997 si poteva pensare ancora a qualche possibilità di adeguato rilancio della scuola, di una qualche resistenza agli illusori modelli pedagogici che venivano propinati da Berlinguer e dai suoi consiglieri, mentre si poteva pensare ad uno sviluppo progressivo dell’intero orizzonte sociale. Poi gli anni successivi hanno visto tutta una serie di crisi e di lacerazioni, a cui non c’è stata nessuna risposta, e tanto meno nella politica scolastica: ci si muove soltanto verso un adeguamento della scuola ai modelli di un’economia e di una comunicazione che stanno portando il mondo al disastro.
C’ è un’etica dell’ inattualità in questo suo testo perfetto e doloroso insieme che non tace nulla di ciò che è e di ciò che dovrebbe essere. Quale spirito l’ ha convinta ad affrontare di nuovo un tema ( forse ormai) perduto?
Assistendo a progetti e iniziative politiche del quasi ventennio trascorso, avevo quasi deciso di non occuparmi più direttamente della scuola: ma poi di fronte a questa “Buona scuola”, vedendo che ormai il discorso sulla scuola è diventato del tutto subalterno ai modelli dell’economia, ho sentito il bisogno di tornarci ancora, almeno per difendere un’idea di scuola che appare inattuale, ma che, di fronte ai pericoli che incombono sulla nostra società e sullo stesso equilibrio mentale delle giovani generazioni, mi sembra sempre più necessaria.
Quali sarebbero, secondo lei, i primi interventi immediati che potrebbero rappresentare l’ inizio di un’ inversione di tendenza per un rinnovamento di questa istituzione?
Credo che in primo luogo andrebbe rilanciato il valore e il prestigio culturale dell’istituzione scolastica e di quanti ci lavorano: i professori prima di ogni altra cosa. E con i professori i luoghi fisici, gli spazi di docenti e studenti, spazi moderni, efficienti, anche severi, che si presentino come “diversi” dalle correnti forme della comunicazione quotidiana. E poi ritrovare il valore delle materie di base, dei loro fondamenti istituzionali, dell’impegno ad affrontarne l’alterità, la consistenza e la resistenza: scuola come lavoro mentale, incontro con ciò che ai giovani è ancora ignoto, non riproduzione delle forme di comunicazione già correnti nella vita quotidiana.
Il suo testo termina con un apologo in due parti: una, il riferimento a S.Cassiano, maestro di grammatica troppo severo ucciso, per sentenza del pretore, dai suoi allievi e l’ altra il richiamo a Goethe : “Da qui comincia la novella storia”. A chi potremmo rivolgerlo in prima istanza?
Ammetto che è un finale un po’ pessimistico, ma non senza qualche ambiguità: la citazione di Goethe è ripresa da una nota di Sciascia su certo degrado che sembra preparare una novella storia molto rovinosa, quasi una prossima fine della scuola. Ma sotto il pessimismo c’è anche la speranza che non tutto sia perduto e che quella novella storia non sia poi così cattiva come temiamo. Possono accadere cose imprevedibili, che impongano prospettive diverse da quelle che oggi sembrano vincenti: che facciano risaltare la necessità di muoversi in altre direzioni, che rendano possibile la scuola oggi impossibile. Ma perché ciò accada bisogna continuare a credere nella scuola e nel lavoro dei docenti.
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GIULIO FERRONI è storico della letteratura, critico letterario, scrittore. Dal 1982 al 2013 ha insegnato Letteratura italiana alla «Sapienza» di Roma. “A Ferroni si devono saggi che spaziano da Machiavelli al Novecento, dall’Aretino ai contemporanei, dall’analisi del comico a una Storia della letteratura italiana; saggi che colgono nei testi, con grande acutezza, il volto del mondo e del suo divenire, il rapporto dell’opera e del suo linguaggio con le trasformazioni del costume, dei valori, della politica, della tecnologia” (Claudio Magris). Tra le sue opere, la Storia della letteratura italiana in 4 volumi, Dopo la fine. Sulla condizione postuma della letteratura ; La scuola sospesa editi da Einaudi; La scena intellettuale. Tipi italiani, Passioni del Novecento e Machiavelli, o dell’incertezza pubblicati da Donzelli. Scritture a perdere (Laterza, 2010), Gli ultimi poeti. Giovanni Giudici e Andrea Zanzotto (Il Saggiatore, 2013). Per la Salerno Editrice ha pubblicato, nel 2008, Ariosto, vincitore del premio «De Sanctis» 2009.
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