La Legge 107/2015 trasforma la scuola in un'azienda e con tutta evidenza cambia il ruolo e la funzione della scuola pubblica statale
25 Agosto 2015 | di Gianluigi Dotti
Nel mese di luglio il Parlamento ed il Governo, che ha posto la fiducia, hanno approvato definitivamente la Legge 107/2015, cosiddetta “Buonascuola”, nonostante che per un intero anno tutto il mondo della scuola: docenti, non docenti, studenti e genitori abbia contestato l'impianto della “riforma” sia nelle linee generali sia nei dettagli dei provvedimenti previsti.
Una contestazione tanto estesa e duratura nel tempo che non si è interrotta neppure in estate e per la quale è prevista la ripresa della mobilitazione a settembre si giustifica ed è motivata, oltre che dagli aspetti già esaminati in questo numero del nostro giornale (si veda l'opuscolo della Gilda degli Insegnanti “La buona scuola siamo noi”), principalmente dal fatto che con questa Legge il Governo dia una forte accelerazione alla trasformazione della scuola italiana da istituzione costituzionalmente garantita a quasi-servizio (una scuola azienda). In questo contesto si modifica radicalmente anche la professione docente che diventa genericamente impiegatizia.
Questo processo, che la Gilda degli Insegnanti, fin dalla sua nascita, sta tentando di contrastare, trova sostanza in quella politica favorevole alle scuole private, siano esse parificate o non parificate, iniziata già con Berlinguer e con la Legge 62/2000, cosiddetta di parità. Politica che, però, contrasta con il dettato dell'art. 33 della Costituzione che recita testualmente che “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”.
Tuttavia, visto che negli anni passati la semplice politica delle agevolazioni e del finanziamento alle scuole private non ha dato risultati apprezzabili, infatti è evidente la crisi delle scuole private, tanto che anche i dati Ocse e Invalsi sulla qualità degli apprendimenti le collocano ben al di sotto delle scuole statali, la “Buonascuola” introduce alcune norme che consentono il finanziamento privato delle scuole statali e la “privatizzazione della didattica”, affidandola al Dirigente scolastico. In pratica si persegue il progetto di privatizzazione delle scuole pubbliche statali.
Per iniziare vediamo la questione delle risorse, che è trattata all'art. 1, commi 145-149, della Legge 107/2015. In questi commi si disciplinano le “erogazioni liberali in denaro” verso tutte le scuole del “sistema nazionale di istruzione”, quindi sia le statali che quelle riconosciute ai sensi della 62/2000, fino a 100.000 euro annui sui quali viene riconosciuto un “credito d'imposta pari al 65% delle erogazioni effettuate”. Di fatto tutti coloro che verseranno somme di denaro per le scuole avranno diritto a detrarre dall'imponibile il 65% della somma versata risparmiando sulle tasse da versare allo Stato.
Le somme di denaro così raccolte saranno iscritte in un apposito fondo nel bilancio del MIUR, il quale le riverserà alle scuole indicate dai “benefattori”. Si pone in questo modo la questione della sperequazione tra le diverse realtà scolastiche che dipendono dal contesto socio-economico nel quale sono inserite: chiaro che la scuola del quartiere bene della città avrà più “benefattori” e più generosi di quella del quartiere degradato e povero. L'unica concessione alla redistribuzione di questi finanziamenti e che il 10% di tutte le somme raccolte saranno assegnate “alle istituzioni scolastiche che risultano destinatarie delle erogazioni liberali in un ammontare inferiore alla media nazionale”; una sorta di piccolo fondo di perequazione, che riguarderà anche le scuole private, naturalmente.
Si completa l'operazione con il comma 151 che, modificando il D.P.R. 917/1986, prevede la possibilità per il genitore di detrarre le spese per iscrizione dei figli alle università private in misura non superiore alle tasse della statale, mentre per chi ha i figli nelle scuole, statali e private, dall'infanzia alle superiori, le spese per l'iscrizione fino a 400 euro annui per ogni studente.
Che tutto ciò comporti un costo per lo Stato è provato dal comma 150 che prevede anche a quantificarle.
Questo impianto si conferma con i commi nei quali è normata la procedura per la stesura del P.O.F. triennale d'istituto (PTOF). La legge 107/2015, all'art. 1, comma 14, modifica il D.P.R. 275/1999 e dispone che gli “indirizzi per le attività della scuola e delle scelte di gestione e di amministrazione” sulla base dei quali elaborare il PTOF siano “definiti dal dirigente scolastico” e non più dal Consiglio d'Istituto.
E questa impostazione si completa ed è rinforzata dal potere che viene dato al Dirigente scolastico (Legge 107/2015, art.1, comma 18) di scegliersi i docenti, proprio sula base del PTOF, che a sua volta è deciso dal Dirigente.
Il potere del Dirigente scolastico di dettare le linee guida del PTOF, senza che vi siano altre componenti della comunità scolastica coinvolte, prefigura una scuola a “immagine e somiglianza” del Dirigente e delle sue inclinazioni ideologiche.
In questo modo la Legge 107/2015 introducendo il finanziamento privato delle sistema scolastico, scuole pubbliche statali e private, e il potere del Dirigente scolastico di forgiare la scuola a “sua immagine e somiglianza”, scegliendosi anche i docenti, trasforma la scuola in un'azienda e con tutta evidenza cambia il ruolo e la funzione della scuola pubblica statale da istituzione costituzionalmente tutelata ad un quasi-servizio di tipo privatistico. Con la conseguenza di modificare di fatto anche lo stato giuridico della professione docente impiegatizzandola e mettendo in discussione apertamente la libertà d'insegnamento (sempre tutelata dall'art. 33 della Costituzione).
Questo è il motivo principale per il quale la mobilitazione per la Scuola della Costituzione e contro “Labuonascuola” dovrà riprendere a settembre nelle forme e nei modi che le OOSS stanno preparando.
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