La prova scritta del concorso ordinario di matematica: la percentuale degli ammessi all’orale è stata inferiore al 48%; c’è da chiedersi se si tratti di una selettività dovuta ad una scarsa preparazione dei candidati, o più banalmente alla perdita di senso di un’esposizione banalizzata dei fondamenti di matematica.
24 Dicembre 2016 | di Maurizio Berni
1. La scelta dei contenuti
L’accesso all’insegnamento della matematica nelle scuole secondarie è consentito a laureati in varie discipline, con alcuni vincoli sui piani di studio. Ma spesso i contenuti, anche degli stessi corsi, non sono confrontabili: l’analisi matematica per un matematico è più improntata all’aspetto logico deduttivo della disciplina, mentre per il fisico (e tanto più per l’ingegnere) si pone l’accento sugli aspetti pratici e applicativi. Una prova d’esame finalizzata all’assunzione di un insegnante di matematica deve testare la cultura matematica complessivamente posseduta e necessaria all’insegnamento, indipendentemente dal curriculum accademico. L’esempio più eclatante è l’assenza dell’insegnamento dell’algebra nei corsi di laurea diversi da quello di matematica, se si fa eccezione per l’algebra lineare; ne consegue un approccio all’insegnamento dell’algebra elementare, al primo biennio della scuola superiore, fortemente banalizzato e fine a se stesso, come insieme di “regole” prive di statuto matematico, non inquadrate in una teoria, e purtuttavia (o forse proprio per questa sua mancanza di senso) fortemente selettivo, contrariamente al pregiudizio che una banalizzazione porti ad una semplificazione.
Ci si sarebbe aspettato, dagli estensori delle prove scritte nazionali, un ragionevole bilanciamento tra argomenti di cultura matematica generale, comuni a tutti i laureati in materie scientifiche, quali l’analisi matematica e la geometria analitica, e quelli più specifici della disciplina, come le strutture algebriche, la geometria euclidea del piano e dello spazio, i fondamenti (ad es. teoria assiomatica degli insiemi e aritmetica razionale).
Niente di tutto questo: il testo dei sei quesiti proposti per la classe A-20 di matematica (ex A047) sono talmente insensibili ai contenuti specifici e basilari della disciplina, sbilanciati sull’analisi matematica e del tutto avulsi dai fondamenti, da far pensare, francamente, che siano stati redatti da un non matematico: tre quesiti di analisi, uno geometria analitica, uno di modellizzazione e uno su una distribuzione di probabilità, entrambi riconducibili all’analisi matematica.
Tuttavia molta dispersione scolastica si concentra nel primo biennio delle scuole superiori, quando si parla di geometria euclidea, di calcolo letterale, ecc., ed è proprio lì che si gioca la scommessa di un insegnamento efficace; ma le conoscenze che un insegnante deve possedere su questi temi, chiaramente da un punto di vista superiore, non gli esercizi dei libri di testo, sembrano non interessare minimamente gli estensori di queste prove.
2. La formulazione dei quesiti
Nella formulazione dei quesiti disorienta l’uso del termine “competenze” riferito a segmenti puntuali del curriculum. Tutti sappiamo che le competenze costituiscono un complesso di conoscenze, abilità e atteggiamenti tra loro interagenti, che l’allievo competente mette in moto per affrontare problemi. Sembra quasi che si confondano le competenze con le abilità. Strano, visto che nelle Indicazioni Nazionali e nelle Linee Guida ministeriali risulta abbastanza chiara questa distinzione. Per cui richiedere al candidato del concorso di illustrare le “competenze minime che lo studente deve conseguire relativamente alla nozione di derivata di una funzione” è del tutto incomprensibile.
Semmai si sarebbe dovuto rovesciare il discorso; avrebbe avuto senso richiedere, invece delle “competenze minime sulle derivate”, quali competenze matematiche espresse nelle Linee Guida si ritenesse di poter sollecitare o “traguardare” con il percorso scelto, relativamente alle derivate, sia in termini di contenuti, che di metodi (di “metodi” e non di “metodologia”, come scritto nella traccia; avrebbe senso parlare di metodologia, che è un discorso sul metodo, se si fosse chiesta la motivazione delle scelte metodologiche, non la mera descrizione).
3. Il problema dei tempi
Ma se davvero ci fosse stata la richiesta, ben più sensata, di associare contenuti e metodi del percorso proposto alle competenze disciplinari dell’asse matematico, i tempi (150 minuti per sei quesiti, più le prove di lingua) non sarebbero stati assolutamente sufficienti. Ci si rende conto quindi della necessità per gli estensori di proporre un approccio riduttivo, benché fuorviante e non condivisibile, del concetto di competenza, per adeguare un discorso che richiede riflessione e ponderazione alla modalità mordi-e-fuggi veicolata dalla struttura dell’esame. E la libertà di insegnamento (che si poteva esprimere anche attraverso lo spazio mentale consentito dai tempi distesi delle otto ore previste per le prove scritte nei concorsi precedenti al 2012) appare come un ricordo lontano.
Per avere contezza della preparazione disciplinare e psicopedagogica di un candidato sarebbe stato opportuno richiedere di descrivere un percorso curriculare ampio, con una particolare attenzione al segmento in cui si concentra la dispersione scolastica, con la richiesta di motivare le scelte metodologiche in stretta correlazione ai contenuti disciplinari, allargando il discorso al punto di vista “superiore” di quel sapere disciplinare che è oggetto di insegnamento. Ovviamente, in un tempo ragionevole, non 150 minuti: ma è stato forse l’uso del mezzo tecnologico a costringere a questa contrazione dei tempi? Anche qui è necessario un ripensamento.
4. La struttura delle prove di lingua straniera
La prova di lingua straniera ha una struttura caratterizzata dalla presenza di testi piuttosto ampi, in relazione al poco tempo a disposizione, e un numero di domande a scelta multipla eccessivamente basso per poter considerare attendibile la prova; sarebbe stato sufficiente consultare un trattato elementare di docimologia per rendersene conto. Sedici domande a risposta multipla, anche con qualche ridondanza, come forma di controllo di coerenza delle risposte date, su un unico testo più breve, avrebbero costituito una prova, seppure parziale, certamente più affidabile.
5. Un esame da ripensare
Questa prova è stata estremamente selettiva; la percentuale degli ammessi all’orale è stata inferiore al 48%; c’è da chiedersi se si tratti di una selettività dovuta ad una scarsa preparazione dei candidati, o più banalmente alla perdita di senso (come quella, più sopra richiamata) di un’esposizione banalizzata dei fondamenti di matematica. Viene da pensare alla seconda ipotesi: temiamo fortemente che la struttura dell’esame abbia danneggiato centinaia di bravi candidati, che non sono riusciti a calarsi nello spirito comunicativo banalizzante del tweet, e avrebbero avuto solo bisogno di uno spazio sufficiente per esporre le loro reali conoscenze e competenze. Non so se il nostro sistema scolastico può permettersi di “rottamare” tanti bravi insegnanti di matematica, e premiare chi dimostra di saper aderire ad un gioco banalizzante, senza porsi troppe domande. Riteniamo che la struttura di questo esame richieda un serio ripensamento.
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