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Numero 1 - Gennaio 2017
Numero 1 Gennaio 2017

DICIAMOLO ...

ma cosa vuol dire davvero insegnare? Ho l’impressione che neanche tra di noi si condivida la stessa idea di scuola e che forse dovremmo cominciare a confrontarci proprio su questo.


24 Dicembre 2016 | di Mariapia Lionello

DICIAMOLO ... Diciamolo: anni e anni di riforme sgangherate lasciano il segno e in questo modello di scuola non mi riconosco più. A dire il vero, non mi riconosco, da sempre, in un modello unico: per me, in oltre trenta anni di insegnamento, ogni anno è un incontro nuovo e sempre diverso. Non esistono ricette valide per tutte le classi: la lezione è un incontro di sensibilità, dove molta parte di ciò che accade è determinato dalla reazione dei ragazzi, adolescenti sempre diversi che si aspettano risposte e dalla letteratura scoprono che ci si può solo porre domande, che si può solo coltivare il desiderio di ricerca, perché risposte preconfezionate utili a tutti nello stesso modo francamente non esistono. Se sono bravi, capiscono che ciò che li renderà adulti è l’appropriarsi di un proprio modo di vedere il mondo, ma un modo che si fondi sull’analisi critica, sullo studio e sul saper prendere posizione, non su emozioni che seguono l’onda dell’ultima moda di pensiero.
Potrei elencare i tanti motivi che rendono questa professione qualcosa di speciale, tutti motivi che chi teorizza la didattica senza mettere piede in classe non potrà mai capire. Mentre fioriscono corsi di aggiornamento su competenze e moduli, flipped classroom e scuole puntozero, chi ha la passione per l’insegnamento (imprescindibilmente legata alla passione per la materia che insegna) sa che l’insegnamento non si può ingabbiare. Non è la tecnologia che rende la scuola moderna: certo, noi insegnanti oggi la usiamo, così come una volta utilizzavamo il mangiacassette o la televisione – ma computer e lavagne interattive sono strumenti, non sono loro a rendere efficace la lezione. E chi lo dice che talvolta non sia un gessetto a fare la differenza? Una lezione con la LIM può essere noiosa e un insegnante incompetente resta incompetente anche se la scuola lo dota di tablet. Non è lo strumento che fa la qualità.
Per me una delle doti che un docente dovrebbe avere è la creatività, che per un insegnante vuol dire la capacità di entrare in classe senza una lezione preconfezionata, perché la nostra professione si avvicina al mestiere di attori che recitano a braccio, o a quello di gente dello spettacolo che parla ‘in diretta’. Lo confesso: io non preparo di volta in volta le lezioni a casa. Però studio, approfondisco, leggo, guardo film in inglese, aggiorno la lingua, vado a musei e a conferenze, vado al cinema e a teatro - e questo bagaglio culturale complessivo arricchisce ogni giorno la mia proposta in classe: da un libro di scienze possono venire spunti per parlare di distopia, da una serie televisiva posso aver più informazioni sulla cultura anglosassone e sulle trasformazioni della lingua di quante ne troverei nel classico libro di testo. Bisogna essere curiosi, aver voglia di scoprire nuovi argomenti, nuovi stimoli, anche se poi si leggerà per il trentesimo anno di seguito lo stesso monologo di Shakespeare. Ogni anno lo stesso testo, ma ogni anno nuove idee e nuove emozioni da condividere con un nuovo gruppo di studenti, insieme ad ascoltare quello che questo straordinario autore ha da dire.
Che stupidaggine cercare di abolire il termine ‘docente’ per introdurre il termine ‘facilitatore’: noi dobbiamo sì mettere gli studenti al centro del loro apprendimento, ma saperne molto più di loro. Dobbiamo far loro credere che studiare valga la fatica, dobbiamo incuriosirli, far loro desiderare di aprirsi al mondo e alla cultura e ciò è possibile se riconoscono che siamo esperti della materia che insegniamo. Dobbiamo dunque riappropriarci della cultura, che la pedagogia didattica ha invece relegato in un cantuccio, perché oggi quello che conta sono le competenze di cittadinanza. Fosse per me, metterei al primo posto la seguente competenza: essere capaci di riconoscere che noi (insegnanti e studenti) raccogliamo l’eredità del passato e la trasmettiamo alle generazioni future, nella consapevolezza che siamo solo piccoli atomi di una grandiosa storia universale che passa attraverso noi. Ma si può pensare che questa competenza possa essere accettata in questa società narcisista che mette l’io al primo posto e fa del presente l’unico tempo conosciuto?
Noi insegnanti dobbiamo saper far sintesi di tutto ciò che leggiamo, di tutte le informazioni che cogliamo e da ciò derivare nuove ipotesi di lavoro. Probabilmente qualcosa useremo, qualcosa proveremo a usare e magari non funzionerà perché non troveremo un riscontro di interesse tra gli studenti, qualcosa non avremo modo o tempo di proporre. Funziona così: si getta la canna e si pesca. Alle volte si raccoglie in abbondanza, altre volte no. Ma non basta la lezione preconfezionata. Studiare è parte integrante della nostra professione. Andrebbe riaffermato in tutte le sedi, contrattazione compresa, per non cadere nella logica del sono-solo-18-ore.
Un’altra caratteristica che mi affascinava dell’insegnamento era l’autonomia, negata oggi dalla pedagogia didattica che ci vuole tutti uguali. Non a caso i dipartimenti forzano gli insegnanti a usare gli stessi libri di testo e gli stessi metodi. C’è una strategia volta ad omologare i docenti, che io trovo deprimente. La cosa più bella, per me, è avere docenti diversi, con metodi diversi. L’unica cosa che dovrebbe essere richiesta è che alla fine tutti gli studenti arrivino a uno stesso standard di preparazione.
Ovviamente dobbiamo sottolineare che gli studenti sono corresponsabili di quanto apprendono. Senza fatica, infatti, non si impara nulla, come diceva Gramsci. La scuola che appiana ogni difficoltà produce pessimi risultati, perché i giovani si trovano poi ad affrontare un futuro incerto per il quale non sono in alcun modo attrezzati. Strategia non casuale: rendiamo fragili i nostri giovani e avremo adulti sottomessi.
Questo mi porta a fare un’ulteriore riflessione. Quando scrivo ho presente i miei studenti – adolescenti tra i 14 e i 19 anni, la maggioranza dei quali è destinata a proseguire gli studi all’università. Ovviamente il carico di fatica che auspico per loro non può essere lo stesso che mi aspetterei per un bambino di sei o dieci anni. Si potrebbe dunque cominciare a dire che non ogni età è uguale e che i bambini delle elementari hanno diritto al gioco ma che da adolescenti nella fascia della secondaria di secondo grado è giusto esigere più ore di studio? Per anni la pedagogia ha trattato tutti i discenti allo stesso modo e infatti si parla di abolire i compiti a casa, ma non si individuano ordini scolastici e fasce di età. E se cominciassimo a rivedere anche questo?
Non posso lasciarmi sfuggire un’ultima considerazione su una vera chicca della legge 107, e cioè l’alternanza scuola-lavoro. A parte la follia di aver scaricato sugli Istituti la necessità di reperire una enorme quantità di aziende disponibili, al punto tale che per far fronte alle necessità qualsiasi attività ha preso il nome di alternanza scuola-lavoro (dal GREST in parrocchia, alla vacanza studio in Inghilterra), davvero è questo che vogliamo dalla scuola?
Per me l’alternanza scuola-lavoro è fondamentale in indirizzi tecnici e professionali ma un’idiozia per i licei, visto che per loro il primo approccio con il mondo del lavoro è rimandabile ai tirocini a agli stage proposti dall’università. Si può cominciare a dire che il lavoro dei nostri adolescenti è lo studio? Oppure bisogna arrendersi a chi continua a non valorizzare il lavoro intellettuale come tale – un lavoro faticoso, che andrebbe riconosciuto ai nostri studenti così come a noi che insegniamo ?
Sono molte le mattine in cui penso che davvero non ho più voglia. Poi, per fortuna, tornano a scuola ex studenti per salutare e ringraziano riconoscendo quanto noi insegnanti siamo riusciti a trasmettere: è nelle loro parole che riscopro il senso di ciò che sto facendo.





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Direttore Responsabile: FRANCO ROSSO
Responsabile di Redazione: RENZA BERTUZZI
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Vicecaporedattore: Gianluigi Dotti.
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Hanno collaborato a questo numero:
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