Come una virgola fa vincere a dei lavoratori una causa sindacale
23 Aprile 2017 | di Renza Bertuzzi
Se per un punto Martin perse la cappa, per una virgola una ditta di autotrasporti del Maine ha perso una grossa causa contro dei propri autisti ed è stata condannata a pagare loro una serie di straordinari.
“La vicenda della Oakhurts, riportata da Daniel Victor sul New York Times del 16 marzo scorso (Lack of Oxford comma costs Maine company millions in overtime dispute) è la seguente: nel 2014 tre autotrasportatori della compagnia hanno promosso una class action per vedersi riconosciuto il sovraprezzo di tre anni di straordinari, per i quali la legge del Maine prescrive un salario orario maggiorato del 50% rispetto a quello base, ma che la Oakhurts aveva negato appellandosi alle eccezioni previste dalla medesima norma, che riguardano gli addetti ai processi di “lavorazione, conservazione, congelamento, essiccamento, immagazzinamento, inscatolamento per spedizione o distribuzione di prodotti agricoli, carne e pesce, e cibo deperibile”. Ma per il tribunale l’ultima ipotesi, o distribuzione, in quanto non preceduta da virgola, è interpretabile come in alternativa alla spedizione come precisazione della finalità dell’inscatolamento (in analisi logica, un complemento di fine coordinato al precedente), e non all’intera serie delle suddette mansioni, per cui l’esenzione dell’aumento orario di salario straordinario non è applicabile ai camionisti ricorrenti, che lavorano alla sola distribuzione, e non all’inscatolamento a quella finalizzato: da qui la condanna per l’azienda a pagare l’ingente somma.” Attilio Motta, Una virgola da 10 milioni di dollari, in http://www.unipd.it/ilbo/virgola-10-milioni-dollari.
Una istruttiva sentenza su cui sarebbe bene riflettere, anche in relazione alla nostra bistrattata lingua.
Abbiamo chiesto al professor Emilio Pasquini, emerito di Letteratura italiana presso l’ Università degli Studi di Bologna, un parere sulla questione della punteggiatura e sulla sua rilevanza nella lingua parlata e nella scrittura letteraria in Italia.
«Se ho capito bene il senso dell’articolo comparso sul “Times”, la presenza o meno di questa “virgola di Oxford” riguarda le modalità dell’elencazione di una serie di attività lavorative o di prodotti commerciali, e non ha quindi alcun rilievo sul piano della lingua comune, meno ancora su quello della scrittura letteraria, dove quel tipo di virgola non sembra creare ambiguità.
Altra cosa è il discorso generale sull’importanza della punteggiatura nella resa dei testi, che si tratti di una lettera, di un articolo di giornale o di un romanzo. Ci si potrebbe anche richiamare alle pagine teoriche di un maestro della produzione teatrale come Konstantin Stanislavskij, il quale nel volume Il lavoro dell’attore su se stesso pone una netta distinzione fra le pause logiche (che sono quelle indicate dalla normale punteggiatura) e le pause psicologiche, affidate invece alla maestria interpretativa dell’esecutore di un testo. In ogni caso nel sapere adoperare bene la propria lingua l’interpunzione resta un elemento essenziale. Ricordo che in certe Facoltà di Lettere prima del ’68 si usava proporre (come prova preliminare allo scritto di Italiano) una serie di periodi di grandi scrittori (da Guicciardini a Manzoni, da Leopardi a D’Annunzio) privi totalmente di punteggiatura, chiedendo agli studenti di introdurla correttamente. Oggi, debbo purtroppo rammaricarmi del fatto che si fa strada progressivamente una sempre minore competenza nell’uso della punteggiatura. I più giovani spesso la ignorano o la usano a caso senza capire la differenza fra la pausa brevissima segnalata con la virgola, quella più intensa contraddistinta dal punto e virgola e quella radicale affidata al punto fermo.
C’ è da dire che nella nostra lingua non esistono regole così cogenti come quella che ha determinato la sentenza riportata dal Times. Se io scrivo, come potrebbe capitare a un giovane d’oggi (ormai lontano dalle sfumature del congiuntivo e propenso ad adoperare la virgola a casaccio), «Ritengo, che è ingenuo, chi si illude di ottenere risultati, senza un minimo di impegno», non impedisco la comunicazione, in quanto la sostanza del messaggio arriva al destinatario nonostante le virgole abusive e la rinuncia al congiuntivo. Diversa è la questione della scrittura letteraria. Vorrei citare almeno un esempio, tratto dal nostro massimo scrittore, il Dante della Commedia, entro il cerchio dei traditori Nel canto XXXIII dell’Inferno il protagonista, Ugolino della Gherardesca, si rivolge così a Dante personaggio, curioso di apprendere le ragioni dell’odio ancora nutrito nei confronti dell’arcivescovo Ruggieri, di cui egli rode eternamente il capo: «Che per l’effetto de’ suo’ mai pensieri, / fidandomi di lui, io fossi preso / e poscia morto, dir non è mestieri...». Non gli interessa, cioè, fermarsi ai fatti noti a tutti, ma punta subito sull’orrore di quella morte per fame inflitta anche ai quattro innocenti chiusi con lui nella torre pisana: «però quel che non puoi aver inteso, / cioè come la morte mia fu cruda, / udirai, e saprai s’e’ m’ha offeso». Così leggono tutti i testi correnti del poema dantesco; ma sembra assurdo che la cosa più importante, del tutto ignota ai vivi, sia introdotta quasi per parentesi, aperta da una congiunzione (cioè) che per giunta risulta assente nella Commedia, mentre ricorre con alta frequenza nelle opere dantesche in prosa, Vita nova e Convivio. Dunque, l’interpunzione andrà così modificata: «però quel che non puoi aver inteso / ciò è come la morte mia fu cruda: / udirai e saprai s’e’ m’ha offeso». Dove si evita la prolessi del complemento oggetto rispetto al verbo della principale (udirai), si mette in rilievo il parallelismo fra i due futuri, e soprattutto con i due punti dopo cruda si introduce una fortissima pausa psicologica più ancora che logica. Come chiosa finale ricordiamo che non sussiste ombra di difficoltà nel mutare la punteggiatura di un testo, come la Commedia, che ci è giunto attraverso la testimonianza di oltre 800 manoscritti totalmente privi di ogni forma di interpunzione: che è poi la condizione normale di tutti i testi anteriori all’invenzione della stampa.
Infine, ho condiviso l’appello dei 600 docenti universitari e l’ho firmato, così come firmerei qualsiasi appello che segnalasse la perdita progressiva della competenza linguistica in ogni ordine di scuola: sia sul piano del lessico sia soprattutto sul piano della sintassi.
Ma già era tutto chiaro grazie all’intervento di Raffaele Simone, La terza fase. Forme di sapere che stiamo perdendo (Bari, Laterza, 2000)».
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Emilio Pasquini è professore emerito presso l'Alma Mater Studiorum - Università degli Studi di Bologna, dove ha tenuto l'insegnamento di Letteratura italiana. Allievo di Raffaele Spongano, di Umberto Bosco e di Gianfranco Contini, è fra i maggiori studiosi italiani di Dante, e si è occupato di aspetti rilevanti della cultura tre-quattrocentesca, fornendo importanti contributi filologici. L’ ultimo suo contributo è Il viaggio di Dante: storia illustrata della Commedia- Carocci 2015, recensito, con intervista all’ autore, nel numero di gennaio 2016 di questo giornale
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