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Numero 3 - Maggio 2018
Numero 3 Maggio 2018

Comunità educante. Chi educa chi?

Per noi la centralità è nel rapporto educativo asimmetrico che si stabilisce tra docente e discenti. Non abbiamo bisogno di coccolare i nostri clienti. Abbiamo bisogno che crescano future cittadine e cittadini consapevoli, capaci e preparati.


18 Aprile 2018 | di Fabrizio Reberschegg

Comunità educante. Chi educa chi? 1.      Ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, la scuola è una comunità educante di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale, informata ai valori democratici e volta alla crescita della persona in tutte le sue dimensioni. In essa ognuno, con pari dignità e nella diversità dei ruoli, opera per garantire la formazione alla cittadinanza, la realizzazione del diritto allo studio, lo sviluppo delle potenzialità di ciascuno e il recupero delle situazioni di svantaggio, in armonia con i princìpi sanciti dalla Costituzione e dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, approvata dall’ONU il 20 novembre 1989, e con i princìpi generali dell’ordinamento italiano.
2.      Appartengono alla comunità educante il dirigente scolastico, il personale docente ed educativo, il DSGA e il personale amministrativo, tecnico e ausiliario, nonché le famiglie, gli alunni e gli studenti che partecipano alla comunità nell’ambito degli organi collegiali previsti dal d.lgs. n. 297/1994.
 
Questo quanto recita il nuovo CCNL scuola sottoscritto dai confederali e che è stato interpretato dagli stessi firmatari come grande conquista democratica finalizzata a valorizzare tutte le componenti della scuola. all'interno della "mission" cui essa è destinata  e in cui la progettazione educativa e didattica, che è al centro dell’azione della comunità educante, viene definita con il piano triennale dell’offerta formativa, elaborato dal Collegio dei docenti, nel rispetto della libertà di insegnamento.
Le cose, a nostro avviso, non sono così semplici e lineari. Anzi si introducono interpretazioni e contraddizioni che nella situazione attuale possono determinare ulteriori limitazioni degli spazi inerenti la libertà di insegnamento. Vediamo perché.
L’aggettivo “educante” aggiunto al termine “comunità” determina il contesto nel quale prende forma il significato di una voce tanto generica quanto carica di ambiguità. Insieme, nella locuzione, sostantivo e aggettivo indicano un gruppo di soggetti che – in una situazione istituzionale, cioè di apparato istituito legalmente – si occupano di un percorso di insegnamento-apprendimento. Si possono dare, semplificando, due casi, con diversi livelli di complessità. Quando il percorso è rivolto ad adulti, si tratta di stabilire un coordinamento di compiti diversi atto a garantire il buon esito di un ritorno in formazione, spesso indotto dal mercato del lavoro, altre volte dettato da ragioni personali e in questo caso la base pattizia e contrattuale tra organizzazione scolastica e/o universitaria e studenti appare chiara. Prevale qui l'ottica funzionalista pur essendo riconosciuto, alla componente dei docenti, il ruolo di indirizzo culturale. Quando invece parliamo di Comunità Educante di norma facciamo riferimento ad un contesto di apprendimento organizzato dal sistema-Stato; ad una relazione,  in cui soggetti adulti caratterizzati da specifica professionalità  si occupano del processo di crescita di “creature piccole” e di giovani  quando, per un periodo, esiste l'obbligo legale alla frequenza scolastica. Si parte da una specificità relazionale asimmetrica laddove è evidente che ai docenti è affidato il compito di trasmettere conoscenze, creare competenze e valorizzare le capacità dei discenti. Su piani diversi e con un livello di autorevolezza  a cui va aggiunti un riconoscimento sociale che deve essere in capo al docente.
Il termine Comunità educante è figlio degli anni settanta del secolo scorso e delle ideologie prevalenti di quel periodo che hanno importato nelle istituzioni scolastiche i temi della comunità come partecipazione dove la verticalità dei rapporti è considerata non positiva. Mutuare nel sistema scolastico astrattamente e ideologicamente il termine comunità significa mettere in discussione l’autorevolezza della funzione educativa affidata ai docenti e il ruolo fondamentale della scuola in quanto ambito di trasmissione, rielaborazione e analisi critica della cultura. Nella Comunità educante chi è legittimato ad educare? Tutti e nessuno? Sembra di tornare agli slogan urlati del sessantotto ma il mondo è radicalmente cambiato e  i sessantottini più integralisti sono quelli che hanno contribuito spesso a cambiarlo in peggio.
Il termine Comunità può comprendere anche sfaccettature pericolose. Si corrono molti rischi nel fare parte di una comunità o ad esaltare acriticamente il concetto di comunità. C’è qualcosa che segnala, in modo non sempre evidente nella sua storia, che essa confligge con la laicità e con la libertà, intesa quest’ultima come parola-azione dei soggetti in gioco. Il concetto di comunità presuppone  spesso confini, separazioni, distinguo. Apre un confronto dialettico tra il noi e "loro" che non garantisce un quadro di sintesi condiviso e rischia di cristallizzare rapporti di diversità che possono spingere verso la competizione e il conflitto.
Non è un caso che gli stati totalitari abbiano mutuato in senso organicistico ed etico il concetto di comunità partendo dalla costruzione astratta di una meta-famiglia/clan organizzati territorialmente in gangli di potere gestiti da élite gerarchicamente definite.
Nel dispositivo del CCNL scuola si è fatto un preoccupante passo in avanti nella costruzione dell'immaginario concetto comunitarista nella scuola. Della comunità educante farebbero parte non solo i docenti e il dirigente scolastico, ma anche il personale ATA tutto, il DSGA, le famiglie e gli studenti eletti negli organi collegiali. Si stempera apparentemente il livello asimmetrico delle funzioni e dei ruoli dimenticando  colpevolmente che la Comunità Scolastica è incardinata nel sistema dell'autonomia scolastica in cui le scuole sono monadi spesso autoreferenziali, gestite in maniera aziendale con a capo un dirigente-manager, in competizione tra loro. L'appartenere ad una Comunità scolastica rischia di accentuare la specificità della propria scuola contro le altre alla ricerca di una clientela composta da genitori e studenti, anch'essi facenti parte della stessa Comunità. Non a caso l'economia aziendale sposa il termine comunità in senso toyotista in cui tutti fanno parte di un organismo finalizzato al miglioramento del prodotto e alla logica della customer satisfaction. Ne va di mezzo la funzione del docente, strumento organico della e nella comunità, e la sua autorevolezza. Si legittimano le intrusioni nella didattica e nella metodologia da parte di  genitori e studenti che diventano a pieno titolo anch'essi educanti nella scuola o addirittura attori nelle scelte didattiche e metodologiche dell’insegnamento.
Noi crediamo che l’aver inserito nel contratto una simile visione del mondo sia un errore grave. La scuola dello Stato è deve rimanere Istituzione organizzata su basi democratiche, certo, ma nel rispetto dei ruoli e delle competenze dei suoi attori ponendo al centro la funzione del docente che definisce i percorsi di apprendimento, in interazione con  gli studenti. Ciò non significa  che non   si possa valorizzi  positivamente la partecipazione delle componenti scolastiche. Solo smontando il potere autarchico e gerarchico della dirigenza- potenziato dalla legge 107/15- e introducendo elementi di gestione in cui gli attori, nel pieno rispetto delle specifiche competenze, determinino livelli di gestione diversi da quelli aziendalistici e mercantili, si potrà tornare a parlare di Istituzione Scolastica. Istituzione della Repubblica. Può sembrare  difficile, ma è possibile. Cominciamo con l'introduzione del preside elettivo espressione del Collegio dei Docenti e coordinatore delle attività didattiche. Cominciamo a discutere concretamente della necessità, da parte dei docenti,  di riappropriarsi degli spazi di autorevolezza che sono stati erosi dall’ideologia della “centralità dello studente” inteso come cliente. Per noi la centralità è nel rapporto educativo asimmetrico che si stabilisce tra docente e discenti. Non abbiamo bisogno di coccolare i nostri clienti. Abbiamo bisogno che crescano future cittadine e cittadini consapevoli, capaci e preparati.
 
 
 


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Numero 3 - Maggio 2018
Direttore Responsabile: FRANCO ROSSO
Responsabile di Redazione: RENZA BERTUZZI
Comitato di Redazione:
Vicecaporedattore: Gianluigi Dotti.
Antonio Antonazzo, Piero Morpurgo, Fabrizio Reberschegg, Massimo Quintiliani.
Hanno collaborato a questo numero:
Giovanni Carosotti, Roberto Casati, Vito Carlo Castellana, Alberto Dainese, Marco Morini, Emilio Pasquini, Adolfo Scotto di Luzio,
Fabrizio Tonello, Ester Trevisan