Il recupero delle tecniche di calcolo inventate dai Maya promuove le abilità matematiche dei loro attuali pronipoti messicani
18 Aprile 2018 | di Alberto Dainese
In un recente reportage del Financial Times Jude Webber fa visita a una scuola elementare dello Yucatán in cui è in corso una vera e propria rivoluzione didattica. Se si entra in classe nell’ora di matematica, si è sùbito sorpresi non dalla presenza di LIM o tablet, bensì dall’entusiasmo con cui gli scolari partecipano a quella che a tutta prima potrebbe sembrare una partita a tombola. I bambini della maestra Mary Carmen Che Chi hanno di fronte a sé, sui propri banchetti, semplici tabelle su cui spostano blocchetti o bastoncini di legno, fagioli secchi, conchiglie di pasta. Stanno imparando a far di conto “alla vecchia maniera”, e non si tratta di un modo di dire: usano proprio le tecniche di calcolo dei loro antenati maya, che furono tra i primi e più grandi matematici di tutti i tempi.
I vantaggi per l’apprendimento sono straordinari. Stando ai fautori del metodo, persino i bambini in fase prescolare, una volta imparato a contare, possono padroneggiare semplici addizioni. Calcoli più complessi – comprese moltiplicazioni, divisioni e radici quadrate – si risolvono ricorrendo alla cosiddetta tabella maya. Pare persino che grazie al metodo, che rende concreti concetti astratti, i bambini imparino a pensare in modo analitico senza accorgersene, allenandosi al pensiero logico con ricadute positive anche in àmbito sociale ed emotivo. Come afferma il sociologo Manuel Gil Antón: “Si tratta di consolidare le strutture logiche di base, a vantaggio soprattutto del pensiero astratto. La matematica si pone a servizio della struttura logica del pensiero”.
Le regole sono piuttosto semplici: un fagiolo vale un’unità; cinque fagioli fanno un pezzetto di legno; lo zero è una conchiglia di pasta. I numeri si leggono in verticale dall’alto verso il basso. La riga inferiore della tabella registra le unità da zero a nove, quella appena sopra le decine, quella superiore le centinaia, e così via. Ecco quindi che se si dispone un fagiolo nella riga in basso si avrà un’unità, mentre spostandolo più in alto si otterrà il 10 e poi il 100 salendo di un altro livello. Viceversa, un pezzetto di legno rappresenterà il 5 o il 50 o il 500 a seconda della riga occupata.
Vedere i bambini fare matematica è una gioia: sembrano elettrizzati, far di conto diventa per loro una gara esaltante, e – soprattutto – capiscono. I maestri conducono le attività dettando i numeri o le operazioni; gli allievi lavorano coi loro tableros, magari allungando l’occhio su quello del compagno se hanno perso un passaggio. José Manuel Cen Kauil, direttore della scuola primaria messicana (la “Ignacio Ramírez Calzada”), il quale mantiene – a fianco della funzione direttiva – quella docente, nella sua classe si serve di chicchi di mais e striscioline di cartone. La matematica, fatta così, oltre che efficace è estremamente economica in termini d’investimenti: a parte una somma irrisoria per la formazione iniziale, la metodologia non costa pressoché nulla. Il prossimo passo? Gli scacchi, spiega il direttore.
Ovviamente, nessuno attribuisce qualità prodigiose al metodo maya. C’è la diffusa consapevolezza che si tratta solo di una delle strade possibili. Ma il fatto che la tecnica risalga ai loro progenitori maya contribuisce anche a far riannodare a questi alunni i rapporti con le proprie radici culturali. Il metodo, infatti, è adottato nelle scuole rivolte all’istruzione dei nativi messicani, dove si studia sia in lingua spagnola che in lingua maya.
La domanda, a questo punto, è: da dov’è nata l’idea di reintrodurre quest’antica modalità di calcolo?
Si tratta di una storia avvincente, per la quale occorre risalire al 1979. Fu allora che Luis Fernando Magaña, dottorando in fisica a Toronto, incontrò una delegazione di connazionali; in quell’occasione s’imbatté in una copia del Resoconto delle cose notevoli dello Yucatán, redatto dal vescovo ed ex inquisitore Fray Diego de Landa nel XVI secolo. Ebbene, il professore aprì per caso il libro al capitolo sul sistema di calcolo maya e ne fu letteralmente stregato. A quel punto, lasciando per un po’ in sospeso il lavoro alla tesi, passò diverse settimane in biblioteca a compulsarlo.
Magaña, che ora è docente universitario a Città del Messico, nasconde a stento l’orgoglio per il livello di conoscenze raggiunto dai Maya, che non solo elaborarono un sofisticato sistema di calcolo su base vigesimale (ispirato al numero delle dita di mani e piedi insieme), ma scoprirono lo zero circa mille e cinquecento anni prima degli Europei.
Ci fu un momento, nella carriera del professore, in cui i suoi studi sulla matematica maya trovarono l’occasione per un recupero e un’applicazione moderna. All’epoca – erano gli anni Ottanta – insegnava meccanica quantistica a un gruppo di studenti che parevano essersi persi già alla fine della prima ora di lezione. Decise allora di provare con la matematica maya. Incoraggiato dai primi successi e dall’entusiasmo degli studenti, cominciò a tenere corsi e conferenze, apportando alcune semplificazioni al sistema, come il non secondario passaggio dalla base vigesimale a quella decimale.
Allorché notò che il metodo dava ottimi risultati anche con bambini che avevano palesato difficoltà nella matematica di base, decise che era venuto il momento di proporre il metodo ai funzionari ministeriali dello Yucatán, i quali – dopo qualche obiezione – ritennero di assecondare il progetto, anche in virtù della forte componente identitaria e di riscatto sociale che implicava per la comunità dei nativi, eredi dell’antica cultura maya. Era il 2009. Il Professor Magaña chiese ai funzionari di raccogliere alcuni docenti volontari per poterli formare. L’anno dopo, le scuole per nativi dello Yucatán introdussero la matematica maya nella programmazione curricolare.
La sperimentazione, poi divenuta parte fissa del curricolo, rispondeva anche alla grave emergenza educativa del Messico in generale e delle scuole per nativi in particolare. La matematica è una delle aree nelle quali gli studenti messicani sono più fragili, stando alle rilevazioni OCSE Pisa.
Nello Yucatán, le scuole pubbliche per nativi erano tra le peggiori in termini di risultati: nel 2006, solo lo 0,1% degli studenti conseguiva “ottimi” voti in matematica, mentre quasi la metà era “insufficiente”. Negli ultimi anni, però, le cose sono cambiate. Nel 2011, l’8,3% degli studenti aveva voti “ottimi”, mentre gli “insufficienti” si erano ridotti al 29,4%. Non è agevole dire con certezza se la ragione di questo miglioramento sia da attribuire alla matematica maya; rimane il fatto che in tutti gli altri tipi di scuola non si sono osservate fluttuazioni di rilievo. Solo le scuole per nativi hanno assistito a questo drastico cambiamento.
Checché ne dicano i numeri, i maestri a favore della matematica maya sono persuasi della bontà del metodo. Anche il Professor Magaña trova i successi pedagogici promettenti, anche in termini di emancipazione. Ecco le sue parole di speranza per il futuro: “In un Paese sfregiato dal razzismo e con forti sperequazioni, questo metodo vecchio di duemila anni si rivela uno straordinario strumento d’equità”.
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