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Numero 4 - Settembre 2018
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Gli anni ’30: la Scuola tra ideali di solidarietà e la brutale colonizzazione “civilizzatrice”


24 Agosto 2018 | di Piero Morpurgo

Gli anni ’30: la Scuola tra ideali di solidarietà e la brutale colonizzazione “civilizzatrice” Scrivo nel ricordo di Giovanna Castaldo Pagnotta, allieva di Maria Montessori, maestra esemplare nell’educare bambini e genitori. In Spagna, nel 1931, si affermò la Seconda Repubblica; il rinnovamento della Scuola fu il principale obiettivo del governo rivoluzionario: furono progettati 27.000 nuovi istituti, si affrontò la formazione degli insegnanti che era molto scarsa con Marcelino Domingo titolare del Ministerio de Instrucción Pública e Rodolfo Llopis a capo del settore della scuola primaria si elaborarono i piani di aggiornamento e si abolirono gli stipendi miserabili che salirono a 3.000 pesetas[1]. Il 29 aprile 1931 si concesse il bilinguismo in Catalogna a maggio fu abolita l’obbligatorietà dell’insegnamento della religione cattolica, furono organizzate delle “missioni pedagogiche” per l’alfabetizzazione degli adulti e la diffusione della cultura nelle campagne, in agosto le scuole divennero miste e furono chiuse le scuole femminili[2]. La nuova Costituzione spagnola stabiliva all’art. 48: “la cultura è un servizio essenziale dello Stato che organizzerà le istituzioni educative. La scuola primaria sarà gratuita e obbligatoria. Tutti gli insegnanti sono funzionari pubblici. La libertà di insegnamento sarà garantita. La Repubblica garantirà a chi è economicamente svantaggiato l’accesso a tutti gli ordini di studi. L’insegnamento sarà laico e si ispirerà agli ideali di solidarietà umana”[3]. Si disponeva inoltre che si ammetteva la scuola privata “purché non persegua fini politici o confessionali”; pertanto la “scuola pubblica deve limitarsi a dare informazioni sulla storia delle religioni”. Il principio della gratuità dell’istruzione sarebbe stato esteso a tutti gli ordini prevedendo per le università almeno il 25% di iscrizioni gratuite[4]. Così in Spagna, col fine di diffondere l’amore per i libri e la passione per lo studio garanzia di libertà dalle tirannie e fondamento della pace, fu diffuso un inno scolastico repubblicano che cantava “il popolo che dimentica le sue scuole non sarà mai salvo”.
Tutt’altro che improntate agli ideali di solidarietà erano altri principi educativi che circolavano in Europa: il 1931 fu l’anno dell’Esposizione Coloniale Internazionale di Parigi e il Commissario Generale Hubert Lyautey sosteneva che si trattava di mostrare non solo i progressi industriali, ma anche come "fosse instillata la gentilezza umana nei cuori selvaggi degli abitanti della savana e del deserto"[5]. Migliaia di indigeni furono reclutati per mostrare gli stili di vita dei “selvaggi” che invero avevano combattuto con la Francia la Grande Guerra. Fu organizzato un nuovo giardino zoologico senza gabbie nel giardino di Vincennes. Si insistette sulla missione del costruire strade, scuole, ospedali. Si assunsero centinaia di agenti coloniali che avrebbero dovuto “istruire” le popolazioni conquistate[6].
La civilizzazione coloniale aveva affascinato anche il pacifista Giovanni Pascoli che, nonostante fosse un insegnante, aveva cambiato la sua idea di Scuola[7] giacché -nel 1911- con La Grande Proletaria si è mossa aveva detto: “O voi che siete la più grande, la più bella, la più benefica scuola che abbia avuta nel cinquantennio l’Italia, armata ed esercito nostri! /.../ Noi, dicono quei nostri maestri, che siamo l’Italia in armi, l’Italia al rischio, l’Italia. in guerra, combattiamo e spargiamo sangue, e in prima il nostro, non per disertare ma per coltivare, non per inselvatichire e corrompere ma per umanare e incivilire, non per asservire ma per liberare. Il fatto nostro non è quello dei Turchi. La nostra è dunque, checché appaiono i nostri atti singoli di strategia e di tattica, guerra non offensiva ma difensiva. Noi difendiamo gli uomini e il loro diritto di alimentarsi e vestirsi coi prodotti della terra da loro lavorata, contro esseri che parte della terra necessaria al genere umano tutto, sequestrano per sè e corrono per loro, senza coltivarla, togliendo pane, cibi, vesti, case, all’intera collettività che ne abbisogna. A questa terra, così indegnamente sottratta al mondo, noi siamo vicini; ci fummo già; vi lasciammo segni che nemmeno i Berberi, i Beduini e i Turchi riuscirono a cancellare; segni della nostra umanità e civiltà, segni che noi appunto non siamo Berberi, Beduini e Turchi. Ci torniamo. In faccia a noi questo è un nostro diritto, in cospetto a voi era ed è un dovere nostro”[8]. Era la conquista della Libia del 1911 voluta da Giolitti e proseguita da Mussolini dal 1922 al 1931, come è andata a finire è sotto gli occhi di tutti. Oggi.
 

[1] https://elpais.com/diario/2006/04/17/educacion/1145224801_850215.html
[2] http://www.ub.edu/ciudadania/hipertexto/evolucion/introduccion/Edu10.htm
[3] http://www.ub.edu/ciudadania/hipertexto/evolucion/textos/ce1931.htm#5
[4] M. Pérez Galán, La enseñanza en la II Republica Española, Madrid 1975; https://www.upct.es/seeu/_as/divulgacion_cyt_09/Libro_Historia_Ciencia/web/mapa-centros/Educacion%20y%20II%20Republica.htm#_msocom_3
[5] http://www.arthurchandler.com/paris-1931-exposition/
[6] https://www.histoire-image.org/fr/etudes/propagande-coloniale-annees-1930
[7] Cfr. http://www.gildaprofessionedocente.it/news/dettaglio.php?id=334
[8] https://it.wikisource.org/wiki/La_grande_proletaria_si_%C3%A8_mossa
 
 
 


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