Il contratto di lavoro 2016/18 della scuola, ha introdotto, all’art 22, il diritto alla “disconnessione”. Quello che sembrerebbe un “diritto”, in realtà non lascia margini a dubbi: certifica quasi un obbligo di “connessione”. Ma la vera libertà sarà proprio quella di non essere costretti alla connessione continua
30 Ottobre 2018 | di Vito Carlo Castellana
Il rito del risveglio ha inizio con uno sguardo al cellulare. Si controlla se ci siano messaggi ricevuti dai vari social e l’ordine è quasi sempre lo stesso. Si parte con WhatsApp, poi si controllano Messanger, Facebook, e-mail e tutta la miriade di social anche legati solo ad interessi ed hobby. Abbiamo tutto il mondo a portata di un click. Fino a dieci anni fa questa continua connessione era immaginabile solo nei film di fantascienza. L’avvento dello smartphone ha rivoluzionato il nostro modo di relazionarci: quella che poteva essere una potenziale espressione di libertà, sta diventando una nuova forma di schiavitù. Pochi sono i margini di libertà e di scelta, diventa quasi discriminante non essere registrato ad una piattaforma social, e da questo la scuola non poteva esimersi. In pochi anni abbiamo avuto la massima diffusione di pagine Facebook delle singole scuole, ma anche gruppi di docenti, alunni, genitori e docenti precari. Una babele di continue informazioni, spesso discordanti tra loro e quasi sempre non corrette e fuorvianti. In seguito si sono aggiunti i gruppi WhatsApp, più ristretti, ma anch’essi fonte di continui input informativi, che danno luogo a discussioni infinite che spesso terminano con il delegittimare tutto e chiunque, scadendo in un relativismo assoluto e non portando mai ad una sintesi finale di una tesi. A tutto questo si è adeguata, quasi senza regole, la pubblica amministrazione. Con l’obiettivo del risparmio ci sono stati interventi legislativi volti alla dematerializzazione. Così, quella che era la consuetudine, per i docenti, di arrivare a scuola e trovare il registro delle circolari e di eventuali comunicazioni, è stata soppiantata da informazioni che vengono bombardate in qualsiasi momento della giornata, comprese le ore notturne e i festivi, attraverso gli strumenti tecnologici. Il tutto senza regole ben precise, con mittenti che spesso non sono il dirigente, ma vari collaboratori che fanno parte di quello che oggi è chiamato lo “staff”, quasi ci trovassimo di fronte ad un consiglio di amministrazione aziendale. Tutto questo ovviamente non ha un fondamento giuridico, né il minimo rispetto delle vite private. La connessione deve essere continua e sembra quasi che non se ne possa fare a meno. Con il contratto di lavoro 2016/18 della scuola, amministrazione e organizzazioni sindacali hanno introdotto, all’art 22, il diritto alla “disconnessione”. Quello che sembrerebbe un “diritto”, in realtà non lascia margini a dubbi: certifica quasi un obbligo di “connessione” in determinati momenti della giornata, perché appare evidente che se viene sancita la possibilità/diritto di non essere collegati alla rete, è evidente che nelle restanti ore della giornata bisogna esserlo. Di fatto viene negata una libertà, quella di poter non essere connessi alla rete. A questo punto la vera forma di “trasgressione”, l’unica vera libertà per i docenti, è proprio quella di dire “no” e di ribellarsi. Ci si può sottrarre a questa invasione nella sfera personale solo in un modo: dichiarando al proprio dirigente di non possedere pc, smartphone, tablet o qualsiasi strumento che ci permetta di essere “connessi”. Nessuna crociata contro il progresso, che è importante e inevitabile. Con i social che rendono normali anche le realtà più feroci e improbabili, la vera libertà sarà proprio quella di non essere costretti alla connessione continua. Questo vale ancor di più per gli insegnanti, che da educatori devono rappresentare nelle scuole il valore della libertà e dall’autonomia di pensiero. Valore che è ogni giorno fortemente messo a rischio e che potrà essere ribadito nei piccoli gesti quotidiani e nel saper consapevolmente disobbedire al diktat del comune pensare della rete che, per certi aspetti, ci rende come tante piccole entità connesse sinapticamente ad un’unica unità centrale, come qualche anno fa era stato ipotizzato, fatalmente, per la specie dei Borg in Star Trek, per gli amanti del genere, che prevedeva l’assimilazione di tutti gli esseri viventi in un’unica connessione: la condanna era il pensiero unico. La rete deve essere un’opportunità e non un limite e questo può esserlo solo se si saprà disobbedire al sistema, lasciando al singolo individuo la possibilità di decidere quando e se connettersi.
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