Se il quadro generale rimane incerto, ancora più fitta è l’oscurità che avvolge le conseguenze che la Brexit avrà su scuola e università d’oltremanica.
30 Ottobre 2018 | di Marco Morini
Sono passati più di due anni dal referendum popolare che ha avviato la cosiddetta Brexit. E il 29 Marzo 2019 è la data fissata per l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Tuttavia, le modalità del distacco, il conto economico e i rapporti futuri con l’Europa a 27 sono lontani dall’essere chiariti. L’opinione pubblica tende a semplificare le opzioni sul tavolo in hard e soft a seconda che si tratti di un’uscita traumatica oppure di un Regno Unito ancora partecipe al Mercato europeo comune. Il tutto si intreccia con le dinamiche interne al Partito Conservatore, la difficile “navigazione” del governo May e un’arrembante opposizione laburista che sempre più spesso ipotizza un possibile referendum bis che potrebbe ribaltare il risultato del 2016.
Se il quadro generale rimane incerto, ancora più fitta è l’oscurità che avvolge le conseguenze che la Brexit avrà su scuola e università d’oltremanica. Mentre il National Health Service sta stoccando medicine in tutti i suoi magazzini, nel timore che da marzo prossimo ne divenga difficile l’approvvigionamento dall’estero, gli atenei britannici non sanno quanti studenti e quanti soldi avranno dal 2020 in poi e sono come paralizzati nell’elaborazione dei piani economici e organizzativi.
Le università britanniche sono tra i principali poli d’attrazione mondiale per studenti stranieri. E sono prime in Europa per iscrizioni di studenti stranieri comunitari. Lo scorso anno gli studenti europei immatricolati nel Regno Unito sono stati oltre 80mila su un totale di 1.6 milioni di matricole. A questi vanno poi aggiunti gli oltre 50mila studenti comunitari che hanno cominciato un corso magistrale o un dottorato. Nel complesso si stima che siano più di 500mila gli studenti UE attualmente residenti in Gran Bretagna per ragioni di studio. Inoltre, circa il 15% dei docenti e dei ricercatori che lavorano nei 132 atenei britannici sono provenienti da altri paesi europei e più di 200mila studenti britannici hanno usufruito di uno scambio Erasmus per studiare o fare ricerca in università europee. Inoltre, gli atenei d’Oltremanica sono i migliori nel conquistare i fondi europei competitivi per la ricerca, con un saldo netto stimato di oltre 7 miliardi di euro negli ultimi cinque anni.
A oggi, l’unico accordo tangibile raggiunto nei negoziati post-referendum è quello che riguarda le rette dell’anno accademico 2019-2020 che rimarranno le stesse di adesso, sia per i cittadini britannici che per quelli comunitari. Tuttavia, nulla è stato deciso su quel che succederà dopo. Il governo May ha garantito che il Regno Unito rimarrà partner del programma Horizon 2020, il fondo europeo per la ricerca che distribuisce 70 miliardi di euro in 6 anni, e poco dovrebbe cambiare per gli scambi Erasmus che già ora per esempio includono sedi extra-europee e che si basano su accordi di reciprocità gestiti a livello bilaterale dalle singole facoltà.
Il vero rischio è quindi quello riguardante l’afflusso vero e proprio di studenti comunitari alle università britanniche. L’ Higher Education Policy Institute ha stimato un crollo del 60% delle immatricolazioni di studenti europei nei prossimi tre anni. Lanciando un allarme che è anche occupazionale, considerando appunto anche tutti coloro che lavorano nelle università e il cosiddetto indotto generato dalla presenza degli atenei sul territorio. Contrariamente alle immediate previsioni post-Brexit, tuttavia, il dato delle immatricolazioni di studenti comunitari è rimasto stabile nei due anni accademici successivi al referendum. E’ però evidente che le cose potrebbero decisamente cambiare dal momento dell’uscita reale dall’UE. Se finora si poteva temere soltanto un effetto ‘psicologico’, dal marzo prossimo si dovranno invece rivedere tutte le politiche relative alle rette, ai test linguistici, al riconoscimento dei titoli di studio conseguiti altrove, ai visti, ai permessi di soggiorno, alle opportunità post-laurea. Questioni enormi e complicate che dovranno essere regolate da un nuovo accordo con Bruxelles o, addirittura, con trattative bilaterali stato per stato, il vero incubo per chi già detesta l’uscita dall’Europa.
Si torna quindi sempre al punto di partenza: i dipartimenti e i docenti probabilmente riusciranno a continuare a sviluppare i loro rapporti e le loro collaborazioni internazionali, ivi annessi gli accessi ai fondi e alle competizioni tra pari, ma il singolo studente europeo potrebbe trovarsi affogato in un mare di carte e impellenze burocratiche fatte di passaporti, permessi, quote paese, rinnovi. Un enorme freno allo sviluppo, all’istruzione e alla libera circolazione della cultura che danneggerebbe ambo le parti.
La questione, infine, potrebbe avere un impatto ancora più dannoso per quei programmi di studio all’estero che riguardano studenti delle scuole superiori: sono migliaia i giovani europei che trascorrono un anno di studio (di solito il penultimo) in una scuola superiore britannica. Nel loro caso, l’eventuale hard Brexit sarà complicata dalla minore età, per cui sarà molto più difficile soggiornare per lunghi periodi nel Regno Unito.
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