Roberto Casati replica a Fabrizio, Brunetti (Cfr numero di settembre 2018)
30 Ottobre 2018 | di Roberto Casati
Ringrazio il professor Brunetti per la garbata e generosa risposta alla mia piccola provocazione. In realtà, ci sarebbe molto da dire sull'interfaccia, chiamiamola così, tra linguaggio naturale e formalismo matematico. Non si può fare matematica in linguaggio naturale ma non si può nemmeno iniziare a far matematica usando solo simboli e formule (e i loro nomi). Un mio collega matematico ha scritto una tesi di dottorato sulla teoria della probabilità in cui ci sono due pagine di italiano, e qualche parola italiana qua e là nel testo. Per arrivare dove è arrivato, ha dovuto costruire impalcature formali che richiedono anni di esercizio. Ma possiamo partire da qualcosa di più vicino a noi, dalla sottrazione. La ricerca di Emmanuel Sander (Ginevra) mostra una asimmetria importante nella capacità di risolvere, da parte di allievi delle elementari, problemi che Fabrizio Brunetti trova semplici (scrive: "Che il termine 'perso' suggerisca una sottrazione non c'entra nulla, secondo me, con il problema che va chiaramente risolto con un'addizione. Il problema non è nei termini ma, semmai, nell'incapacità, o nella capacità, di ragionare e risolvere di chi legge"). Qualche esempio di quello che Sander ha in mente. Per gli allievi (1) è facile inventare un problema di addizione la cui soluzione è 5+3=8 e in cui qualcuno guadagna qualcosa, ma (2) è difficile inventare un problema la cui soluzione è sempre 5+3=8 e in cui non si perde nulla, si guadagna soltanto. Vi dò un esempio di (1): Giovanna ha cinque biglie, ne riceve in dono tre, quante ne ha adesso? Provate a inventare un problema di tipo (2). Non è immediato. Questo indica che ci sono associazioni spontanee con addizione e "aggiungere", e associazioni più difficili tra addizione e "perdere".
Bisogna dire una parola sulla metodologia della ricerca. Stesso problema, formulazioni differenti: per uno psicologo sperimentale come Sander si tratta di una situazione ben strutturata per risalire alle cause della difficoltà. Se è solo la formulazione l'elemento che differisce tra i due gruppi di studenti, allora potremo imputare lo scarto tra le risposte all'effetto formulazione. Procedendo in questo modo si sono trovati "effetti formulazione" per la divisione, l'eguaglianza, e via dicendo. Il professor Brunetti formula, a tutti gli effetti, un'ipotesi differente: che la difficoltà a risolvere il problema sia da imputare a una incapacità di ragionamento nei soggetti esaminati. Ma ovviamente è proprio questo tipo di ipotesi che deve venir analizzato e scartato metodicamente nella ricerca sui fattori che spiegano la differenza tra chi sa risolvere e chi non sa risolvere il problema (in particolare, sarebbe un caso straordinario se tutti e soli gli studenti cui viene assegnata la formulazione "difficile" fossero anche gli studenti con un problema di ragionamento.) L'invito è di prendere sul serio questo tipo di ricerca e di lavorare in modo creativo alla sua soluzione. Cominciare dalle parole che si usano è una possibilità. Nessuno nega che 'radice quadrata' abbia una buona definizione e nessuno nega che 'tangente' (trigonometrica) abbia una sua tradizione consolidata. Il problema è che queste parole, nel momento dell'introduzione dei concetti, non sono vivide. Gli allievi che diventeranno matematici faranno la tara delle potenziali difficoltà intuitive di queste parole come la fanno per la stranezza di parole come 'radice quadrata'. Io penso soprattutto agli altri allievi, che hanno bisogno di molti appigli per arrampicarsi sulle assai esigenti impalcature formali della matematica.
Roberto Casati, CNRS, EHESS
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