IN QUESTO NUMERO
Numero 2 - Marzo 2019
Numero 2 Marzo 2019

Il concetto di Europa, l’istruzione, la cultura. Europa sì, ma un’altra Europa è possibile

Serve un’altra visione dell’Europa ed è necessario che i docenti tornino ad essere protagonisti dei contenuti della cultura europea rilanciando l’utopia di una scuola non subalterna alla sfera economica


24 Febbraio 2019 | di Fabrizio Reberschegg

Il concetto di Europa, l’istruzione, la cultura. Europa sì, ma un’altra Europa è possibile A ridosso delle elezioni per il nuovo Parlamento Europeo è legittimo domandarsi quale sia la debba essere la funzione dell’Unione Europea di fronte al dilagare di movimenti e tensioni di natura nazionalista che sembrano caratterizzare la fase attuale e che hanno natura globale e a come si dovrebbe   oggi continuare a parlare di una “scuola europea” avendo aperto una seria riflessione sull’identità dell’Europa da cui discende il principio di cittadinanza europea. Il grande tentativo di creare non solo un’area di libero scambio commerciale europea, ma soprattutto di costruire un sistema istituzionale coerente con i principi ispiratori del federalismo europeo sembra essere alle corde. Non è un caso che nel dibattito politico finalizzato alle elezioni del Parlamento Europeo siano nettamente prevalenti i rancori, le divisioni, le lacerazioni scaturite da una visione meschina ultra-statalista e nazionale nella convinzione che solo così ci si può difendere dalla globalizzazione, dall’immigrazione, dalla contaminazione con altre culture. Cosa non ha funzionato?


Il progetto europeo è nato dalle ceneri di un secolo di guerre suicide che hanno visto singoli stati europei tentare il  dominio e l’egemonia sul piano politico e territoriale mondiale partendo da  quello che ritenevano l’ombelico del mondo. I milioni di morti in guerra, le efferatezze di regimi che hanno legittimato teorie razziste, il cinismo di un’economia capitalistica transnazionale basata sul profitto di breve periodo non sono riusciti a creare nella consapevolezza dei popoli europei la necessità impellente di ripartire dai valori condivisi che hanno innervato la storia dell’Europa tutta. Valori culturali che hanno la loro radice nella filosofia greca, nella praxis politica e istituzionale dell’impero romano- un vero impero federale- nella nascita dello Stato di Diritto dopo secoli di lotte tra potere politico e “spirituale”, nelle idee illuministiche e della rivoluzione francese, nell’ideale dello spazio democratico... Come giustamente ribadisce Massimo Cacciari l’idea di Europa è un logos, spazio ideale di legame, unione, ma anche conflitto creativo edificato nei secoli e che ha nella sua cultura il legame unitario essenziale. Le stesse idee socialiste, Marx, i tentativi di costruzione di società comuniste hanno in Europa la loro culla naturale. Questa Storia, in cui l’Europa ha avuto un ruolo di egemonia a livello di fatto mondiale, anche con enormi responsabilità criminali nei confronti delle culture diverse, sembra essere dimenticata stemperandosi in una serie di eventi tecnicamente interconnessi oggetto di mera informazione per gli amanti della storia con la s minuscola e di studio maldigerito per i nostri studenti.


Che fine ha fatto il progetto dell’Europa Unita dopo il 1945?  Prima la CEE, poi l’Unione Europea, come progetto in fieri di uno spazio federale, soprattutto dopo la caduta dei regimi comunisti dell’est Europa, hanno ceduto le armi a partire dal 2007 dopo la bocciatura del progetto di Costituzione Europea da parte dei referendum della Francia e dei Paesi Bassi. La carica valoriale che poteva essere il riferimento per la costruzione di una vera Europa unita è stata sconfitta da interessi di singoli stati e staterelli ratificando l’irrilevanza politica dell’UE di fronte ai vincitori sul campo della seconda guerra mondiale, gli USA e la Russia e di fronte alle economie emergenti come quella cinese e indiana. La recente storia della Brexit, e dell’immagine autoreferenziale della Gran Bretagna, che rimpiange il suo passato imperiale, è illuminante. Credere di competere economicamente, militarmente, culturalmente come singoli stati nei confronti delle nuove polarizzazioni mondiali (USA- CINA) è semplicemente stupido.


Quel che resta ora è una Istituzione, l’UE, svuotata dei significati originari che ha saputo solo proporre/imporre una visione economica liberista con controverse istituzioni monetarie (area Euro) e governata da meccanismi tecnocratici espressione dei singoli interessi nazionali e succubi del mercato finanziario ed economico globale.


L’istruzione, la scuola dovevano e potevano avere un ruolo essenziale nella creazione di una condivisione della cultura e di valori di cittadinanza europei. Le scelte della Commissione Europea in merito all’istruzione si sono  curvate ai bisogni della competitività economica e delle ideologie liberiste. La richiesta flessibilità dei lavoratori, derivata dai principi di libertà di movimento delle persone, dei capitali e delle merci di Maastricht, è diventata anche flessibilità della scuola. I sistemi educativi organizzati e finanziati completamente dallo Stato, sono stati giudicati  troppo rigidi costringendo il corpo docente ad adattarsi ai cambiamenti richiesti dal rapido sviluppo delle tecnologie moderne e dalle ristrutturazioni industriali e terziarie. Si è scelto di privilegiare gli elementi di commensurabilità statistico-economica, rispetto ai contenuti del sapere, come quelli relativi agli obiettivi di Lisbona, ormai del tutto irraggiungibili nel previsto 2020.
Li ricordiamo in sintesi: almeno il 95% dei bambini dovrebbe frequentare la scuola materna, meno del 15% dei 15enni dovrebbe avere risultati insufficienti in lettura, matematica e scienze, meno del 10% dei giovani dai 18 ai 24 anni dovrebbe abbandonare gli studi o la formazione, almeno il 40% dei 30-34enni dovrebbe aver completato un percorso di istruzione superiore, almeno il 15% degli adulti dovrebbe partecipare all'apprendimento permanente, almeno il 20% dei laureati e il 6% dei 18-34enni con una qualifica professionale iniziale dovrebbe aver trascorso una parte degli studi o della formazione all'estero, almeno l'82% dei 20-34enni con almeno un diploma di maturità dovrebbe aver trovato un lavoro entro 1-3 anni dalla fine degli studi. Pura utopia.
 
Per conseguire tali parametri, anche in nome della lotta contro il fallimento scolastico si sono abbassati i livelli di esigenza per quelli che hanno più difficoltà. La lotta contro il fallimento è diventata così, paradossalmente, il pretesto per una crescente polarizzazione del sistema. In questo senso le tante riforme della scuola italiana devono essere lette come omologazione ad un pensiero unico in cui le tre i (inglese, informatica, impresa) di gelminiana memoria sono un esempio lampante. La didattica per competenze imposta di fatti ai singoli Stati dall’UE è l’espressione massima del ruolo ancillare della scuola rispetto all’economia.
 
E’ tutto da buttare? No, di certo. I nostri studenti di fatto si sentono in qualche maniera facenti parte di un mondo globale in cui lo spazio europeo è visto come luogo comune. Il progetto Erasmus ha avuto effetti positivi per costruire legami e affinità tra i giovani europei, pur essendo di fatto un progetto limitato a ceti sociali medio-alti. Tanti nostri studenti hanno scelto o sono stati costretti a lavorare nei paesi dell’UE e sentono frontiere e limiti alla circolazione come incomprensibili (ma vanno bene per i migranti..). Ma la scuola ha creato negli ultimi anni il consumatore unico europeo, il lavoratore unico flessibile europeo senza costruire un dibattito serio e vero sui diritti e doveri di una cittadinanza europea perché manca ancora lo spazio ideale per identificarne le caratteristiche. Nell’UE mancano norme uniformi e coercibili sui diritti, manca una politica estera comune, manca un esercito, norme penali, civili, fiscali comuni. Manca la visione della federazione degli Stati dell’Unione Europea. Paesi come l’Ungheria e la Polonia possono trasgredire allegramente i principi fondamentali dell’unione in merito ai diritti civili di cittadinanza, La Francia può fare guerre paracoloniali in Africa per difendere i suoi interessi nazionali scaricando su tutti gli altri paesi gli effetti provocati. Si può fare di tutto a patto che i grandi interessi economici nazioni e delle multinazionali siano salvi e possano svilupparsi.


Per questo serve un’altra visione dell’Europa ed è necessario che i docenti tornino ad essere protagonisti dei contenuti della cultura europea rilanciando l’utopia di una scuola non  subalterna alla sfera economica. Il cittadino europeo che immaginiamo  nasce dalla rinnovata centralità della cultura e della Storia con la s maiuscola. L’educazione, crediamo, dovrebbe essere pensata come bene comune europeo: un’ “impresa collettiva” a cui partecipare; una forma di “cittadinanza” come spazio di azione e definizione di obiettivi politici che non rinuncino alle dimensioni culturali, sociali e civiche dell’educazione.
 


Condividi questo articolo:

Numero 2 - Marzo 2019
Direttore Responsabile: FRANCO ROSSO
Responsabile di Redazione: RENZA BERTUZZI
Comitato di Redazione:
Vicecaporedattore: Gianluigi Dotti.
Antonio Antonazzo, Piero Morpurgo, Fabrizio Reberschegg, Massimo Quintiliani.
Hanno collaborato a questo numero:
Roberto Casati, Rosario Cutrupia, Alberto Dainese, Domenico De Masi, Vittorio Lodolo D'Oria, Francesco Mazzoni, Marco Morini, Adolfo Scotto di Luzio, Raffaella Soldà, Fabrizio Tonello, Ester Trevisan.