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Numero 2 - Marzo 2019
Numero 2 Marzo 2019

Gap year, una competenza di vita

Dopo un anno sabbatico “gli studenti tornano più maturi e prendono più seriamente gli studi, e hanno più sicurezze su cosa vogliono fare, o almeno su quello che non vogliono fare”


24 Febbraio 2019 | di Marco Morini

Gap year, una competenza di vita Prendersi un anno sabbatico tra la fine delle scuole superiori e l’inizio dell’università è una scelta assai diffusa nel Nord Europa e negli Stati Uniti. E’ invece marginale se non addirittura considerata “elitaria” nel nostro Paese, dove, tra l’altro, normalmente si comincia l’università a 19 anni, ovverosia con un anno di ritardo rispetto ai paesi anglosassoni e a gran parte delle nazioni nordeuropee.
 
Di solito gli studenti che scelgono di fare una pausa tra le superiori e l’università possono fare tre cose: viaggiare, lavorare o entrambe le attività insieme. A volte prendere un anno sabbatico è una scelta obbligata, per quegli studenti che devono guadagnare e mettere da parte dei soldi per coprire in parte i costi dell’università. In questo caso, però, non si parla propriamente di anno sabbatico, che se inteso come esperienza di formazione giovanile rimane soprattutto una prerogativa di chi può permetterselo. Chi non ha problemi economici spesso approfitta di questo periodo per andare all’estero, visitare posti nuovi o imparare una lingua. Per i più fortunati, infatti, il “gap year” può ritenersi una sorta di versione moderna del Grand Tour: il viaggio lungo un anno nelle città d’arte europee che facevano i giovani aristocratici nell’Ottocento. In questo caso, molto spesso il divertimento viene prima di tutto e l’anno sabbatico si traduce in un lungo viaggio in paesi mai esplorati prima. C’è anche poi chi va all’estero ma trova qualche lavoro per coprire un po’ le spese. Un’altra opzione è fare volontariato, nel proprio paese o all’estero (in Italia in molti scelgono il troppo sottovalutato Servizio Civile Nazionale).
 
Sicuramente servono soldi e convinzione e il desiderio forte di staccarsi, almeno temporaneamente dal protettivo nucleo familiare. Uscire dal guscio parentale e sopravvivere senza mamma e papà e gli amici di sempre all'orizzonte, non è prova per chiunque, specie in un Paese come il nostro dove molti studenti frequentano l’università più vicina a casa senza dover andare a vivere altrove. Giovani del Sud Europa, spesso descritti come “mammoni” da giornalisti e anche da coetanei di altre nazioni, forse beneficerebbero più di altri da una simile esperienza.
 
Negli Stati Uniti spesso occorre avere il permesso dell’università per poter prendersi un anno sabbatico: ma numerosi atenei, come per esempio Harvard e Stanford, incoraggiano gli studenti a farlo. Le selezioni d’accesso cominciano infatti con grande anticipo e le future matricole possono concordare molti dettagli della futura attività universitaria. Anche quello di decidere il momento d’avvio del percorso di studi. Qui, i dirigenti delle università conoscono bene il fenomeno e sono anche consapevoli del suo valore e dell’importanza che lo studente decida di cominciare il proprio percorso di studi quando se la senta davvero. Proprio i dati dell’Università di Harvard mostrano come ogni anno circa 100 studenti (sui 2000 ammessi per ogni anno accademico) scelgano di differire l’inizio dei loro studi per prendere un anno sabbatico. Si tratta del 5%, una percentuale non marginale ma tuttavia riscontrata in uno degli atenei più esclusivi e prestigiosi del mondo, dove a molti studenti non mancano certamente le risorse familiari. E’ infatti una cifra superiore alla media nazionale statunitense, che la American Gap Association stima sui 45mila studenti all’anno, cioè circa l’1% delle matricole universitarie totali. Un numero in lieve ma costante crescita anno dopo anno.
 
Non esistono dati certi sulle differenze di profitto tra coloro che scelgono di vivere un anno sabbatico e gli studenti che invece cominciano subito l’università. Qualcuno potrebbe obiettare che 12 mesi di pausa potrebbero inficiare la capacità di studio, l’inclinazione al sacrificio, l’abitudine all’ascolto. Sicuramente, però, dopo un anno di esperienze e “avventure”, ci si conosce meglio, si scoprono inclinazioni per alcuni studi che solo 12 mesi prima non si sarebbero mai presi in considerazione. Si riflette, si vive al proprio “ritmo ideale”. Sbagliare facoltà risulterà probabilmente più difficile. L’esperienza di vita è poi impagabile e irripetibile. Quando potrà mai capitare di avere ancora 18 anni, al culmine dell’entusiasmo giovanile, senza impegni professionali, senza rate del mutuo, senza figli, né preoccupazioni e nel massimo della forma fisica? La risposta è mai. Si possono fare mille conoscenze e amicizie e la capacità di adattamento e confronto non potrà che giovarne. L’anno sabbatico aiuta inoltre a prendersi responsabilità economiche e a “far di conto”. Mettendo da parte i (pochi) rampolli, privi di preoccupazioni, per molti giovani che scelgono di prendersi un anno di pausa, questo servirà anche a fare attenzione ai costi, a pianificare bene spese e spostamenti. A elaborare “strategie di sopravvivenza”, a metà tra piacere, doveri e necessità. Secondo Jeffrey Selingo, educatore e autore del libro “There Is Life After College”, dopo un anno sabbatico “gli studenti tornano più maturi e prendono più seriamente gli studi, e hanno più sicurezze su cosa vogliono fare, o almeno su quello che non vogliono fare”. 
 
Inoltre, e questo conta quanto e più le ragioni appena esposte, un anno sabbatico ben pianificato può essere un ottimo biglietto da visita per attirare l’attenzione di potenziali datori di lavoro e reclutatori. Secondo il sito americano gapyear.com, vero e proprio scrigno di suggerimenti e contatti per chi volesse affrontare una simile scelta, il 63% dei responsabili di agenzie di risorse umane negli Stati Uniti e in Gran Bretagna ritiene che un anno sabbatico trascorso facendo volontariato e viaggiando e lavorando all’estero, renda il curriculum di un neolaureato come “particolarmente attrattivo”. Al momento non vi sono ricerche simili condotte su reclutatori italiani, tuttavia, in un mercato del lavoro inevitabilmente sempre più globalizzato, un anno sabbatico ben speso potrebbe fare la differenza al momento della ricerca del primo impiego post-laurea.
 
 
 


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