É urgente aprire gli occhi e reagire con forza. Potrebbe non esserci una seconda possibilità. Il Punto di Rino Di Meglio
14 Aprile 2019 | di Rino Di Meglio
Napoli, Venezia, Roma tre momenti importanti, in cui le organizzazioni sindacali più rappresentative del mondo della scuola, dell’università e della ricerca hanno chiamato a raccolta i docenti e tutto il personale della scuola.
Sono in gioco: la regionalizzazione del sistema di istruzione, l’emergenza salariale, l’emergenza precariato. Si è trattato di un risultato di grande rilievo non solo per l’unità raggiunta nella difesa di fondamentali diritti, di valori e di principi di interesse comune, ma anche per la testimonianza di quanto sia importante la sindacalizzazione, senza la quale non esiste alcuna tutela della dignità professionale.
La nostra tradizionale indipendenza dalla politica ci ha indotto a scontrarci con quasi tutti i governi che si sono avvicendati alla guida dell’amministrazione scolastica: la nostra indipendenza ci ha consentito di condividere quando questi facevano qualcosa di buono, e dissentire sui provvedimenti che ritenevamo negativi per la Scuola e per i colleghi.
Anche con questo governo, non abbiamo avuto timore di riconoscere la positività di alcuni provvedimenti che hanno modificato parzialmente la legge 107 del 2015, anche se ci saremmo aspettati di più.
Non possiamo quindi che essere sconcertati dalla grave caduta che hanno avuto le relazioni sindacali al MIUR, nelle ultime settimane. E’ venuta meno anche la semplice informazione: importanti provvedimenti, non privi di errori tecnici, sono stati comunicati direttamente alla stampa senza neppure l’informazione preventiva ai sindacati.
Il confronto politico sui grandi temi, quali il contratto, la devoluzione dell’istruzione alle regioni, l’esplosione del precariato, i concorsi che non funzionano, è totalmente assente.
Una situazione alla quale è doveroso reagire, perché rischia di vanificare il mandato di rappresentanza stesso dei sindacati e, in prospettiva di affievolire sempre di più i diritti di chi lavora nella Scuola.
Illustri esponenti politici dell’attuale governo sono intervenuti più volte, impegnandosi a rapidi interventi per aumentare le retribuzioni del personale scolastico, non solo in fondo alle classifiche europee, ma addirittura fanalino di coda del pubblico impiego.
Risultato pratico? Contratto scaduto a dicembre 2018, stanziamento nella legge di bilancio del 2019, pari a circa 40 euro lordi e medi per l’intero triennio contrattuale.
Apertura delle trattative? Nulla, neppure un gesto simbolico.
Con l’aumento del numero dei pensionamenti il numero dei precari rischia, con il prossimo anno scolastico, di raggiungere livelli da record.
A fronte di questa drammatica situazione, il Ministro, ha deciso di non avviare i percorsi concorsuali previsti dalla legge per coloro che avevano maturato i tre anni di servizio, rinviando tutto ai concorsi ordinari, nei quali è prevista una modesta riserva per chi ha maturato anni di esperienza.
Nessun confronto, neppure informale, sulla questione della regionalizzazione totale dell’istruzione, chiesta da due importanti regioni, come se non riguardasse chi lavora nella scuola.
La regionalizzazione significa avviare la fine dei contratti nazionali, con conseguente
riduzione dei diritti di chi lavora, vuol dire mettere a rischio la libertà di insegnamento con decisori politici vicini e pronti ad indirizzare la didattica, e in prospettiva la possibilità di privatizzazione del servizio, come già avvenuto per la Sanità nelle stesse regioni, differenziando quindi i diritti degli alunni a seconda della zona.
Penso che sia urgente aprire gli occhi e reagire con forza. Potrebbe non esserci una seconda possibilità.
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