Gli esami non finiscono mai (però si snaturano). Riepilogo delle modifiche dell’ esame di maturità in Italia e confronto con la riforma appena annunciata in Francia
16 Aprile 2019 | di Antonio Antonazzo
Si sta molto parlando in questi ultimi mesi del “nuovo” esame di Stato le cui modifiche approvate a gennaio destano molteplici preoccupazioni e critiche soprattutto per il poco tempo che gli studenti e i docenti hanno a disposizione per prepararsi adeguatamente ad affrontare le prove finali.
L’introduzione dell’esame di “maturità” quale esame di stato svolto al termine del percorso liceale propedeutico al proseguimento degli studi universitari, fu predisposta nel lontano 1923 dall’allora Ministro Giovanni Gentile; l’esame consisteva in quattro prove scritte (italiano e latino comuni a tutti i licei e altre due prove scritte a seconda della tipologia del percorso liceale scelto) e un’orale su tutte le materie dell’intero corso di studi (non solo dell’ultimo anno quindi). Gli esami si tenevano fuori sede in luoghi opportunamente scelti e i commissari erano tutti membri esterni spesso professori universitari.
Si comprende quindi che il tasso di “mortalità” della maturità era particolarmente elevato (intorno al 40%); era comunque prevista la possibilità di una sessione di riparazione ove recuperare le prove non superate in prima battuta.
A causa del perdurare della guerra che rendeva poco agevoli gli spostamenti dei “maturandi” e dei commissari esterni, negli anni 40 gli esami non si svolsero regolarmente e vennero sostituiti da uno scrutinio finale fatto nelle singole scuole. Fu solo nel 1952 che l’esame venne ripristinato con atto del Ministro Gonnella con l’unica novità dell’introduzione dei membri interni (inizialmente due poi uno solo) che dovevano affiancare i lavori della commissione che rimaneva tutta esterna.
La vera riforma dell’esame “Gentile” avvenne dopo il ‘68. Il Ministro di allora era Fiorentino Sullo e le prove scritte furono ridotte a due (italiano per tutti e seconda prova in funzione dell’indirizzo di studi) e due sole materie per il colloquio orale (una scelta dal candidato e l’altra dalla commissione) su quattro individuate tra le materie dell’ultimo anno di studi. I commissari erano membri esterni con la presenza di un unico membro interno. Il voto finale veniva espresso in 60-esimi ed era unico comprensivo di tutte le prove d’esame.
La riforma Sullo è in qualche modo emblematica per rappresentare la superficialità e l’approssimazione che il mondo della politica ha avuto nei confronti nella scuola negli ultimi 50 anni. L’esame in questione infatti aveva natura prettamente sperimentale di soli due anni, invece, senza che mai nessuno abbia detto alcunché sulla sua validità, è stato prorogato di anno in anno per quasi 30 anni fino al 1997 con l’approvazione della riforma Berlinguer.
Con Berlinguer cambia innanzi tutto la denominazione dell’esame che da “esame di maturità” passa ad “esame di stato”, alle due prove scritte previste fino ad allora, ne viene aggiunta una terza su tutte le materie dell’ultimo anno preparata autonomamente da ogni singola Commissione. L’orale torna ad essere su tutte le materie dell’ultimo anno con l’introduzione della cosiddetta “tesina” che ogni singolo candidato sceglie per iniziare la prova orale. Vengono introdotti i crediti scolastici che si sommano ai voti delle singole prove per un totale complessivo che viene espresso in centesimi. Ulteriore modifica riguarda la composizione della commissione che diventa mista con un pari numero di docenti interni ed esterni coordinati da un presidente esterno.
Per il decennio seguente, le uniche modifiche hanno riguardato la composizione della Commissione che per un breve periodo è stata composta da soli membri interni con un presidente esterno (Ministro Moratti 2001) per poi tornare ad una composizione mista nel 2007 (Ministro Fioroni). Ulteriore segno lasciato dal ministro Fioroni è stato l’aumento del valore del credito scolastico da un massimo di 20 ad un massimo di 25 punti.
Arriviamo quindi ai giorni nostri, nel 2017, quando con il ministro Fedeli, in applicazione della legge 107, l’esame finale è stato modificato con l’eliminazione della terza prova e la modifica dell’esame orale con la soppressione della “tesina”, la valorizzazione delle esperienze di alternanza scuola/lavoro e l’introduzione, quale criterio di ammissione all’esame, della partecipazione alle prove INVALSI di italiano, matematica e inglese. Ancora una volta si ritoccano i punteggi con l’aumento del peso da attribuire al credito scolastico (massimo 40 punti anziché 25).
Si vede quindi che la legge di riferimento delle ultime modifiche all’esame finale è la famigerata “buona scuola” approvata due anni fa nel 2017 dal precedente governo. Sembrerebbe quindi che le critiche provenienti da più parti riguardo al poco tempo che ci separa dall’inizio delle prove d’esame di metà giugno siano infondate, ma non è propriamente così anche perché il ministro Bussetti oltre a tardare fino a gennaio prima di esplicitare con un’ordinanza quali saranno le nuove modalità del prossimo esame, ci ha messo un po’ del suo al punto che diversi esperti in materia giuridica sostengono che si possa parlare di un certo eccesso di delega. E’ del tutto giustificata quindi la richiesta proveniente da più parti di posticipare al prossimo anno le ultime modifiche approvate.
Il nuovo ministro ha infatti eliminato l’obbligatorietà della partecipazione alle prove INVALSI (che diventano sostanzialmente facoltative) e delle esperienze di alternanza scuola/lavoro quale criteri di ammissione alle prove di esame. Quello che però preoccupa maggiormente docenti e studenti, riguarda le modalità con le quali verrà effettuato il nuovo esame.
In particolare ci sono molte riserve riguardo alla seconda prova scritta di indirizzo che, per la prima volta, verterà non su una singola disciplina, bensì su due materie affini. Altrettante critiche vengono fatte alle novità introdotte per la conduzione del colloquio orale. E’ previsto infatti che il colloquio debba essere svolto partendo da materiali predisposti dalle singole commissioni e proposti ai candidati in buste chiuse in modo che l’alunno possa sorteggiare la “traccia” del suo esame.
E’ comprensibile quindi che, a pochi mesi dall’esame conclusivo, dal mondo della scuola emergano forti perplessità rispetto a queste modifiche che, oltre ad essere ancora confuse e nebulose, comporteranno un sensibile aggravio dei lavori di ogni singola commissione e con il rischio che il colloquio si riduca ad una sorta di quizzone con tanto di chiacchierata superficiale di cultura generale.
L’Italia però non ha il monopolio del cambiamento dell’esame conclusivo del percorso pre -universitario. Infatti anche in Francia, dopo ben 210 anni, l’attuale Ministro dell’istruzione francese, Jean-Michel Blanquer, ha avviato un percorso che nei prossimi anni modificherà radicalmente il “BAC” introdotto due secoli fa da Napoleone.
Attualmente il “BAC” è essenzialmente composto da una quindicina di prove, per lo più scritte, che si sviluppano negli ultimi due anni delle superiori. Al penultimo anno (la première) sono previste le prove di francese mentre al termine dell’ultimo anno (classe terminale) vengono svolte le restanti prove consistenti in uno scritto di filosofia, comune a tutti gli indirizzi, e altre prove scritte variabili a seconda dell’indirizzo di studi scelto.
Le modifiche previste dal Governo francese sono estremamente radicali e mirano a ridurre a sole 4 prove l’esame del “BAC”. Le prime due a scelta dai candidati tra alcune materie caratterizzanti, da svolgere in forma scritta nella primavera dell’ultimo anno e, a giugno, altre due prove: l’immancabile scritto di filosofia e un cosiddetto “Grand Oral à l’italienne”, direttamente ispirato al nostro esame di maturità, da affrontare di fronte ad un proprio insegnante, ad un docente esterno e ad un rappresentante della società civile.
Il progetto di Blanquer ha fatto però storcere preventivamente il naso a molti professori e studenti, secondo cui il “grand oral” sarebbe troppo “stressante” e “ansiogeno”, e rafforzerebbe le “diseguaglianze sociali”.
Il dibattito è comunque ancora aperto in quanto le modifiche proposte dal governo francese andranno a regime soltanto a partire dal 2021; c’è tutto il tempo quindi affinché gli alunni francese e i loro docenti possano abituarsi ed esercitarsi per affrontare le nuove prove, tempo che invece non è concesso ai nostri prossimi “maturandi”.
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