Le disuguaglianze economiche sono difficili da “vedere”. Grafici e tabelle non sempre riescono nello scopo di rendere l’idea. Un’ esperienza che mette in moto la capacità della mente di rappresentarsi il mondo.
17 Febbraio 2020 | di Roberto Casati
Un’immagine, si sa, o si dice, vale più di mille parole. Si dice anche che la nostra sia una civiltà dell’immagine. E si aggiunge che le nuove generazioni, nate e cresciute con le immagini, non sappiano più utilizzare lo strumento testuale, o quantomeno non vogliano. E che quindi la scuola e la produzione dei contenuti per la scuola si debbano adattare a questi tre pilastri: la forza delle immagini, la loro onnipresenza, e i nuovi cervelli recalcitranti al testo. Certo, gli strumenti per la scuola sono sicuramente diventati sempre meno testuali, e sempre più simili a fotografie di pagine web ricche di immagini, quando già non sono pure e semplici pagine web. Non voglio mettere in discussione radicalmente i tre “pilastri”, che meriterebbero certo molta più attenzione critica. È vero che le immagini sono sussidi importantissimi, acceleratori inferenziali che usano a fondo le routine rapidissime del sistema visivo, hanno un forte valore di testimonianza e di prova. Nessuno penserebbe seriamente di creare supporti didattici che non facciano uso di immagini. (Se lo si faceva, un tempo, era perché il costo della loro pubblicazione era troppo elevato.) Ma da qui a sostenere che i testi senza immagini siano diventati obsoleti, il passo è troppo lungo.
Voglio dare un piccolo esempio (di cui abbiamo discusso in un seminario comune con Fabrizio Tonello), che è nato da una riflessione sul modo migliore in cui potremmo dare un’idea della vastità delle disuguaglianze di censo. Qual è il problema pedagogico che affrontiamo? Nel mondo ci sono i ricchi e i poveri, e agli estremi della distribuzione abbiamo gli ultraricchi e gli ultrapoveri. Ma quanto più ricchi degli altri sono gli ultraricchi? Il signor Warren Buffett nel 2017 ha guadagnato (non “ricavato”: guadagnato) 7,5 miliardi di euro mentre un dottorando o dottoranda francese del mio dipartimento ha potuto contare su circa 25.000 euro annui. Qual è il rapporto tra queste due cifre, e come possiamo renderlo in un’immagine? Non possiamo, a meno di usare immagini molto grandi (per esempio un fregio che corre tutto intorno al libro di testo, ripetuto in ogni pagina...) Possiamo ricorrere alle nostre competenze numeriche, fare due conti, ma non ci è nemmeno chiaro che cosa voglia dire che Warren Buffett ha guadagnato trecentomila volte quello che ha guadagnato il nostro dottorando. Non abbiamo una buona comprensione intuitiva né di cifre così grandi, né di rapporti così grandi tra cifre così grandi. Cosa può aiutarci?
A questo punto abbiamo costruito una narrazione intorno alle cifre. Immaginate la situazione seguente. La benzina è diventata molto, molto cara. Così assurdamente cara che chi può permettersi un viaggio da Roma a Parigi deve avere il portafoglio di Warren Buffett, che per l’appunto (in questa finzione) deve usare tutti il suoi sette miliardi e mezzo di euro per andare dal parcheggio di Bocca della Verità a Place de la Concorde (sono quasi esattamente 1500 km). Ora non sbirciate sotto, ma cercate di rispondere intuitivamente alla domanda seguente.
Se tanto mi dà tanto, se la benzina ha questo prezzo mostruoso, quanta strada farebbe il nostro dottorando con il suo stipendio?
(Pausa di riflessione, chiudete la pagina per un minuto.)
Molte delle persone a cui abbiamo posto il quesito hanno dato risposte che ritenevano prudenti: “arriva a malapena al Raccordo Anulare”, “arriva a Ponte Milvio”, “a Villa Borghese”, “a Castel Sant’Angelo”, e qualcuno, che si riteneva prudente e pessimista, ha pensato di esagerare proponendo l’Isola Tiberina o la sponda opposta del Tevere. In realtà, chi riesce a fare i trecento metri che lo separano da Trastevere è già piuttosto benestante: deve guadagnare un milione e mezzo l’anno. Perché il nostro studente, con i suoi venticinquemila euro, percorre esattamente cinque metri. Esce dalla piazzola di parcheggio, e occupa la successiva.
Questa narrazione mette in moto le nostre conoscenze di un territorio, il tempo che ci mettiamo ad attraversarlo in auto, lo spazio che ci scorre ai lati mentre corriamo a tutta velocità per ore e ore. Ma per l’appunto, questo è lo spazio delle possibilità di Buffett: i cinque metri ci riportano alla realtà. Possiamo ricamare sulla narrazione. Un gradevole stipendio di centomila euro all’anno fa guadagnare quattro piazzole di parcheggio in direzione Parigi. Uno stipendione di mezzo milione all’anno non ci fa uscire dalla piazzetta. Magari chi guadagna mezzo milione di euro all’anno non è ricco (parliamone), ma insomma possiamo vedere la differenza che lo separa da un super-ricco. Possiamo vedere anche molte altre cose, se elaboriamo ulteriormente la narrazione come hanno fatto i nostri studenti. Per esempio, molte sono le persone al mondo che guadagnano meno di venticinquemila euro all’anno, e quasi tutti guadagnano meno di mezzo milione: nella piazzetta saremmo in fitta compagnia, potremmo vedere la quasi totalità della popolazione mondiale. Altro esempio, invece di prendere un punto di vista statico, allontaniamoci dalla Bocca della Verità, mettiamoci in viaggio, e anzi viaggiamo con chi quel viaggio può farlo. Quando Warren Buffett è in autostrada a centoventi all’ora, ogni secondo che passa percorre 33,33 metri. Il che significa che ogni secondo del suo viaggio vale più di 6 borse di dottorato, corrisponde a 6,6 stipendi da duemila euro al mese. Ogni secondo, a centoventi all’ora. Sei stipendi “normali”. E se potesse tenere quella media, arriverebbe a Parigi in dodici ore e mezza, ogni secondo delle quali vedrebbe generare la ricchezza annuale di tre famiglie ‘tipo’.
Ci sono, è vero, ultraricchi e ultraricchi, non dimentichiamocene. Probabilmente già arrivare a Ponte Milvio farebbe di noi persone che non sfigurerebbero alla cena di Buffett (10km, cinquanta milioni di euro all’anno), anche se si tratterebbe di ricconi modesti ancora rispetto a chi potesse spingersi fino a Firenze, diciamo (300km, un miliardo e mezzo di euro all’anno).
Naturalmente se per il percorso Roma-Parigi in auto non soccorre l’intuizione, possiamo pensare ad altre mete (Aosta-Reggio Calabria), ma sarà difficile scollarsi di dosso l’immagine di tutti quei chilometri fatti macinando soldi, stipendi e vite.
Non a caso in queste ultime frasi ho usato termini visivi, come ‘vedere’ e come ‘immagine’. Ma si tratta di immagini mentali, non di diagrammi o di fotografia sulla carta o sullo schermo. Sono le scene che la mente ragionante genera e utilizza per rappresentarsi il mondo, anche nelle sue forme più astratte. Il limite delle immagini fisiche qui è nella loro fisicità: non possono essere più grandi di tanto, e non appena zoomiamo, ci mostrano una realtà rimpicciolita. Le immagini mentali non hanno questo vincolo. Il viaggio in auto attraverso l’Europa lo possiamo immaginare come se lo facessimo, usando ricordi o racconti di altre persone. Basta un testo, una buona narrazione, per far scattare l’intuizione giusta, e far comprendere un concetto astratto.
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Roberto Casati è un Filosofo italiano, studioso dei processi cognitivi. Attualmente è Direttore di ricerca del Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS), presso l'Institut Nicod a Parigi. Esponente della filosofia analitica, già docente in diverse università europee e statunitensi, è autore di vari romanzi e saggi, tra cui La scoperta dell’ombra (2001), tradotto in sette lingue e vincitore di diversi premi, la raccolta di racconti filosofici Il caso Wassermann e altri incidenti metafisici (2006), Prima lezione di filosofia (2011) , Contro il colonialismo digitale. Istruzioni per continuare a leggere(2013), recensito in “ Professione docente”, settembre 2016, con un’ intervista all’ autore e La lezione del freddo, presso Einaudi, una filosofia e un manuale narrativo di sopravvivenza per il cambiamento climatico. Questo libro ha vinto il premio ITAS del libro di montagna e il pre
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