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Numero 1 - Gennaio 2019
Numero 1 Gennaio 2019

Osservare il mondo, per non perderlo

L’osservazione sta perdendo terreno come pratica ma anche come valore e  viene espulsa per definizione dal copione della didattica digitale. Eppure, senza  dovere di  osservare il mondo, quello che perdiamo è puramente e semplicemente l’osservazione del mondo. E se non osserviamo più il nostro ambiente, finiamo con il perderlo.
"Ma basta levare la testa/ [...] Coraggio, guardiamo." Vincenzo Cardarelli, Spiragli.


26 Dicembre 2018 | di Roberto Casati

Osservare il mondo, per non perderlo Anni fa, in un incontro sulla didattica dell’astronomia mi è capitato di proporre una cosa che mi sembra meriti la nostra attenzione di docenti: ho suggerito di organizzare una notte delle stelle con gli studenti e le studentesse delle elementari o delle medie inferiori, non in un planetario (che non ha bisogno della notte) o in un osservatorio (che sposta l’attenzione verso gli strumenti ottici), ma in un campo, all’aria aperta. Utilizzando i puntatori laser verdi si possono mostrare con precisione gli astri e le costellazioni. L’effetto del laser che sembra “toccare” le stelle è bellissimo, cattura l’immaginazione, e non esiste un buon sostituto alla comprensione del mondo in tre dimensioni e a trecentosessanta gradi. Ci sono certo molte difficoltà logistiche per questo progetto, e il pubblico non ha mancato di farmelo osservare: sicurezza, orario improponibile per le famiglie, fatica dei bambini. La mia reazione è abbastanza semplice: è tutto vero, ma che sarà mai? Di fronte a un’esperienza che per molti sarà indimenticabile, davvero non possiamo come società immaginare di stringere i denti un pochino, una sera tra le 365 che ci sono in un anno, tra le cinquemila che accompagnano gli scolari da quando entrano in prima elementare ed escono in terza media? È così improponibile?
 
Forse c’è qualcosa di più profondo dietro le perplessità del mio pubblico di quell’incontro. L’osservazione sta perdendo terreno come pratica ma anche come valore. Il 7 di febbraio scorso, dopo un’abbondante nevicata dalle mie parti, la radio ha parlato di una scuola in cui “i prof hanno tirato le tende perché la neve ci distraeva”. Davvero non possiamo fermare un quarto d’ora l’attività didattica e osservare un fenomeno naturale dal punto di vista privilegiato che sono le finestre di una scuola? Non sto neanche a citare le difficoltà che ci sono ad organizzare le osservazioni delle eclissi di sole. Vi sono state delle direttive ministeriali che invitano a restare in classe con le persiane chiuse, con il pretesto del rischio di un’osservazione diretta del crescente solare. Il rischio c’è, ma ci sono molti modi di contenerlo (occhiali di mylar, proiezione in camera oscura); davvero vogliamo privare i giovani discenti dell’opportunità di esperire in prima persona un evento raro e meraviglioso, un allineamento che mette in relazione geometrica i corpi celesti e ci dà, in fondo, una prospettiva sul mondo e su noi stessi? L'eclissi mostra per esempio che la luna è più vicina del sole, e questo fatto assieme al combaciare dei due profili mostra che il sole è più grande della luna; sono dati banali certo ma efficacissimi per mostrare il valore di prova di un’osservazione (guardando la luna e il sole in altri momenti non si ha un’idea della loro distanza e grandezza relativa). Le direttive che invitano a restare in classe con le persiane chiuse hanno peraltro lo spiacevole effetto collaterale di suggerire qualche influsso malefico dell’eclissi, come se non fosse in gioco il rischio per gli occhi quanta una credenza superstiziosa sul potere degli astri.


Quali sono le ragioni del declino dell’osservazione? Ne elencherei due, a titolo di ipotesi.
In primo luogo, osservare apre un circuito della ricompensa probabilmente un po’ troppo lungo rispetto a quello che si può avere oggi con strumenti didattici interattivi, e anche con le spiegazioni magistrali. Gli schermi e i software che propongono simulazioni sono ottimizzati per la nostra percezione distratta, sono sotto l’egida dell’ergonomia e della riduzione dello sforzo, ovvero dei costi per l’attenzione. Le ricompense sono immediate come nei videogiochi (il che spiega il successo di questi ultimi, e la difficoltà a smettere di giocare.) Alcuni pedagogisti si sono spinti a suggerire che dovremmo ispirare le nostre pratiche didattiche ai videogiochi, mettendo l’insegnante nella situazione di un’impossibile rincorsa. Ma l’osservazione ha un vantaggio didattico del tutto specifico, ci mette di fronte a dei dati che sono nella norma sporchi e ambigui, richiedono un vaglio, obbligano a cercare altri dati con altre osservazioni, a formulare delle teorie che a loro volta generano delle domande (perché non si può produrre essere un’eclissi di sole quando la luna è al primo quarto? Perché in alcuni casi si vede tutto l’anello del sole intorno alla luna, e in altri no?) Questo vantaggio – il dato sporco e ambiguo – viene espulso per definizione dal copione della didattica digitale, e non è ricercato nella lezione magistrale.
In secondo luogo, l’osservazione era la nostra condizione naturale quando cercavamo la nostra strada, ma oggi possiamo farne a meno. Quando andiamo in un luogo nuovo, il navigatore basato sul GPS ci evita il compito complicato e costoso (e non sempre coronato da successo) di confrontare una descrizione o una mappa con il terreno. Se chiediamo la strada a una persona, questa ci dirà per esempio di girare a destra dopo il “capitello”, e a un certo punto noi osserviamo la presenza di un idrante: sarà questo il punto di svolta che il nostro informatore aveva in mente? Guardiamo, vagliamo. Anche con una cartina topografica, dobbiamo sempre mettere in relazione la rappresentazione grafica con il territorio che questa rappresenta: l’incrocio che vediamo sulla cartina corrisponde a questo semaforo o a quello? Stiamo venendo da questa o da quest’altra parte, abbiamo orientato correttamente la cartina? Anche in questi casi l’unico modo di cavarcela è guardare e vagliare. Con il GPS non esiste più questo bisogno. Siamo liberi di fare le nostre faccende mentre ci muoviamo. Ma se questa libertà ci solleva dal dovere di osservare il mondo, quello che perdiamo è puramente e semplicemente l’osservazione del mondo. E se non osserviamo più il nostro ambiente, finiamo con il perderlo.




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Roberto Casati è un Filosofo italiano, studioso dei processi cognitivi. Attualmente è Direttore di ricerca del Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS), presso l'Institut Nicod a Parigi. Esponente della filosofia analitica, già docente in diverse università europee e statunitensi, è autore di vari romanzi e saggi, tra cui La scoperta dell’ombra (2001), tradotto in sette lingue e vincitore di diversi premi, la raccolta di racconti filosofici Il caso Wassermann e altri incidenti metafisici (2006), Prima lezione di filosofia (2011) , Contro il colonialismo digitale. Istruzioni per continuare a leggere(2013),  recensito in “ Professione docente”, settembre 2016, con un’ intervista all’ autore e La lezione del freddo, presso Einaudi,  una filosofia e un manuale narrativo di sopravvivenza per il cambiamento climatico. Questo libro ha vinto il premio ITAS del libro di montagna e il pre
Procida Elsa Morante L'isola di Arturo 2018.
 
 


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Direttore Responsabile: FRANCO ROSSO
Responsabile di Redazione: RENZA BERTUZZI
Comitato di Redazione:
Vicecaporedattore: Gianluigi Dotti.
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Hanno collaborato a questo numero:
Francesca Balsano, Roberto Casati, Alberto Dainese, Giuseppe Falsone, Michela Gallina, Marco Morini, Adriano Prosperi, Adolfo Scotto di Luzio, Liliana Segre, Fabrizio Tonello, Paola Tongiorgi, Ester Trevisan.