IN QUESTO NUMERO
Numero 5 - Novembre 2019
Numero 5 Novembre 2019

La Storia: ferita gravemente ma fortemente viva

La Storia, materia di insegnamento negli ultimi anni sempre più bistrattata dai programmi scolastici, è stata protagonista il 4 ottobre scorso a Roma del convegno nazionale “Quale futuro senza la Storia?”, promosso dalla Gilda degli Insegnanti e dall’Associazione Docenti Art.33 in occasione della Giornata Mondiale dell’Insegnante


29 Ottobre 2019 | di Ester Trevisan

La Storia: ferita gravemente  ma  fortemente viva Ferita gravemente ma fortemente viva. Con lo sguardo rivolto al passato ma ancorata al presente e pronta a salpare verso il futuro. La Storia, materia di insegnamento negli ultimi anni sempre più bistrattata dai programmi scolastici, è stata protagonista il 4 ottobre scorso a Roma del convegno nazionale “Quale futuro senza la Storia?”, promosso dalla Gilda degli Insegnanti e dall’Associazione Docenti Art.33 in occasione della Giornata Mondiale dell’Insegnante. Dell’opportunità di scegliere la disciplina storica quale asse culturale di riferimento intorno al quale  organizzare il sistema di istruzione hanno dibattuto, moderati dalla giornalista de la Repubblica, Simonetta Fiori: Andrea Giardina, professore di Storia Romana alla Scuola Normale Superiore di Pisa; Adriano Prosperi, professore di Storia Moderna alla Scuola Normale Superiore di Pisa; Adolfo Scotto Di Luzio, professore di Storia della Pedagogia all’Università di Bergamo; Giovanni De Luna, professore di Storia Contemporanea all’Università di Torino.
A fare gli onori di casa sono stati Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda, che ha letto un messaggio inviato dalla senatrice Liliana Segre, e Gianluigi Dotti, responsabile del Centro Studi della Gilda, il quale ha brevemente introdotto il tema di discussione.
 
Ministro Lorenzo  Fioramonti. Storia:  un impulso ai giovani per cambiare il mondo
A prendere per primo la parola è stato il ministro dell’Istruzione, Lorenzo Fioramonti, rassicurando la folta platea di docenti in merito all’esame di Maturità: “Non cambierà, ma capisco che è necessaria una riflessione. Perciò al Miur stiamo valutando la possibilità di interventi migliorativi, senza però modificarne l’impianto ed evitare di creare agitazione nella comunità scolastica”. Fioramonti ha poi sottolineato la necessità di offrire agli studenti la possibilità di confrontarsi con la Storia recente che quasi sempre viene sacrificata a causa della vastità dei programmi e della mancanza di tempo. “Forse - ha suggerito il ministro - varrebbe la pena considerare l’idea di un focus specifico sulla Storia dell’ultimo secolo e farlo diventare momento di riflessione trasversale su quel periodo politico”. Fioramonti ha inoltre posto l’accento sulla “grande distanza tra le sfide del presente e la gloria di un passato che forse non tornerà più. Io invece - ha affermato - credo in un approccio alla storia che superi la superficialità dei libri di testo e che racconti un passato fatto non solo di battaglie, come se si trattasse di una versione libresca del Trono di spade, ma anche delle imperfezioni dei grandi protagonisti del passato. Così - ha concluso Fioramonti - la Storia potrebbe dare un impulso enorme alla visione creativa e al coraggio di cambiare il mondo delle nuove generazioni”.
 
Andrea Giardina. Lo storico deve impegnarsi nella diffusione della conoscenza storica.
Partendo dal manifesto per la Storia bene comune, di cui è stato promotore insieme con la senatrice Segre e lo scrittore Andrea Camilleri, il professor Giardina ha spiegato come il grande successo di quell’appello (oltre 50mila adesioni in pochi mesi, ndr.) sia stato ottenuto grazie a un’inversione retorica: trasformare in un diritto la percezione comune del dovere, vissuto dai ragazzi e imposto dai professori, di studiare la Storia per essere buoni cittadini.
Criticando la definizione di “terza missione” assegnata dall’Anvur alla diffusione della conoscenza storica da parte dello storico, in base al principio di gerarchizzazione che vede in prima linea la ricerca e l’insegnamento universitario, Giardina ha evidenziato che “lo storico deve impegnarsi nella diffusione della conoscenza storica e chi ha esperienza di insegnamento sa che ricerca, insegnamento universitario e diffusione sono dimensioni intrecciate”.
La sottocultura dell’identità nazionale, mascherata da parole altisonanti come quella tedesca Heimat, - ha aggiunto Giardina - non è soltanto l’espressione di piccoli mondi provinciali, delle patrie locali o delle regioni, dei comuni o di pulsioni nazionali, ma l’abbiamo vista emergere anche nelle istituzioni europee con la Presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, che ha istituito una nuova carica, assegnata alla sua vice, per occuparsi dei migranti ma al tempo stesso proteggendo lo stile di vita europeo. L’accostamento ha suscitato notevoli polemiche ed è un segnale di allarme, come quello che arriva dal Parlamento europeo, che ha approvato una mozione con cui i crimini del nazismo vengono equiparati a quelli dello stalinismo e ha individuato le origini della Seconda Guerra Mondiale nella firma del patto Molotov-Ribbentrop. In questo modo, la politica si arroga il diritto di intervenire sulla scrittura della Storia, deformandola e semplificandola. In questa mancanza di consapevolezza del proprio ruolo nel mondo - ha concluso - la Storia può avere un ruolo di sapere critico unificante e il cosmopolitismo può rappresentare un possibile asse culturale”.
 
Adriano Prosperi. Oggi il bisogno di Storia è più vivo perché il mondo è più complesso
Secondo  Adriano Prosperi, “oggi il bisogno di Storia è più vivo rispetto al passato, perché il mondo è più complesso, si è più incerti, si hanno più voci da sentire ed è obbligatorio rivolgersi alla Storia. La conoscenza storica serve per collocarsi in un contesto reale, oggi questa capacità di concepirsi e collocarsi nel tempo è messa in dubbio da fattori sociali e culturali. Oggi non è più in gioco la costruzione dell’identità nazionale - ha rimarcato Prosperi - quanto il passaggio da uno Stato Nazione a un’entità superiore zoppicante, ma frutto di una necessità storica. Quando il progetto dell’unità europea aveva ancora il vento in poppa, fu formulato il proposito di scrivere di nuovo i manuali di storia perché bisognava agevolare la fusione degli stati nazionali nella nuova entità, eliminando tutto ciò che nelle storie nazionali comprese nei programmi scolastici suonava discredito, odio, disprezzo nei confronti degli altri Paesi. Le commissioni che operarono si scontrarono subito con grandi difficoltà: omogeneizzare il racconto della storia nella tradizione di un’Europa che era vissuta nei conflitti per secoli era difficilissimo, ma è indicativo della necessità che quando si costruisce un nuovo ente politico di appartenenza che supera lo stato nazionale c’è bisogno di dimenticare la storia precedente e costruirne una nuova. Questo è avvenuto con operazioni grottesche come il tentativo dell’Unione europea di legiferare sulla storia con il documento sull’importanza della memoria europea per il futuro europeo” .
Sulla funzione docente, infine, Prosperi ha sostenuto la possibilità di istituire un anno sabbatico per riposarsi e studiare e la necessità di stabilire criteri di mobilità tra i livelli di insegnamento, consentendo ai docenti di migrare tra aule scolastiche e universitarie (intervento integrale di Adriano ProsperiL’ età dell’oblio).
 
Adolfo Scotto Di Luzio.  La Storia è un metodo, non è un discorso già pronto che va dato ai giovani
Il rapporto problematico tra didattica e scienza storica ha animato l’intervento di Scotto Di Luzio: “Nella scuola italiana lo studio della storia si traduce quasi sempre in un invito rivolto allo studente a esprimere le sue opinioni a partire da alcuni eventi storici particolarmente rilevanti. Nella migliore delle ipotesi la storia nella nostra scuola serve a conservare la memoria del passato per evitare che si ripetano gli stessi errori, nonostante sia ormai acclarato che la Storia non ha mai impedito all’umanità di commettere certi errori. La Storia - ha affermato con forza Di Luzio - è una forma di conoscenza che ha per oggetto non il passato, ma l’esperienza umana che si costruisce in termini temporali. La Storia è un metodo, non è un discorso già pronto che va dato ai giovani, questa è una visione parrocchiale dell’insegnamento della Storia. La Storia - ha sottolineato in polemica con quanto affermato da Fioramonti - nasce dal conflitto: se non lo si accetta, la Storia diventa una melassa che cerca di annullare le asperità e di contenere la dinamica politica e sociale. La Storia è totalmente assente dall’orizzonte culturale di generazioni che, indipendentemente dalla loro pigrizia, sono state portate dentro un processo formativo nel quale la Storia non esiste più”.
 
Giovanni De Luna. La storia non è un’esperienza ludica, emozionale, comportamentale, ma conoscitiva
”Ringraziando i docenti “accorsi numerosi al capezzale della Storia, disciplina malata e in crisi da molto tempo”, De Luna ha sottolineato che “la storia non è un’esperienza ludica, emozionale, comportamentale, ma conoscitiva” e che “le insidie di cui è bersaglio la trasmissione della conoscenza storica oggi vengono da agenti potentissimi, primo tra tutti la Rete.
Con l’avvento dei mezzi di comunicazione di massa 30 anni fa abbiamo visto che cinema, televisione, fotografia, letteratura trasmettevano la conoscenza storica molto meglio di noi storici. Abbiamo affrontato la sfida e l’abbiamo vinta, portando questi strumenti di comunicazione nel nostro statuto scientifico, sviluppando la concezione dinamica delle fonti. Adesso ricominciamo da capo con la Rete che ha l’enorme vantaggio di rendere fruibili documenti e archivi altrimenti inaccessibili, ma nasconde molte trappole”. Per affrontare la sfida della Rete, De Luna ha indicato alcune strategie da mettere in campo: usare spesso e con lucidità la coppia interpretativa continuità-rottura; gerarchizzare le fonti, assegnando un ordine al mare magnum di informazioni che la Rete offre ponendole tutte sullo stesso piano; ripristinare il contesto originale del documento su cui si lavora, perché “la dimensione pubblica e istituzionale in cui viene prodotto il documento è decisiva”.
 
 
 

ALLEGATI


Condividi questo articolo:

Numero 5 - Novembre 2019
Direttore Responsabile: FRANCO ROSSO
Responsabile di Redazione: RENZA BERTUZZI
Comitato di Redazione:
Vicecaporedattore: Gianluigi Dotti.
Antonio Antonazzo, Piero Morpurgo, Fabrizio Reberschegg, Massimo Quintiliani.
Hanno collaborato a questo numero:
Stefano Battilana, Alberto Dainese, Marco Morini, Adriano Prosperi, Fabrizio Tonello, Ester Trevisan.